Cesare Basile e l’amore per cui non smettiamo di combattere

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Cesare BasileRadio Cometa Rossa ha l’onore di seguire passo dopo passo una nuovissima rassegna itinerante che ha luogo a Salerno. OHMe ha l’obiettivo di essere una casa della musica e al tempo stesso un’operazione di resistenza e innovazione culturale, creando un ambiente familiare, non privo di una scossa di energia pura, come indica il gioco di parole tra home, dimora, e ohm, unità di misura della resistenza elettrica.

A inaugurare il primo concerto al Mumble Rumble, dopo la presentazione al Disclan a cura della giornalista Alessandra De Vita, troviamo Cesare Basile, uno dei cantautori che meglio riescono a raccontare la realtà non solo del sud ma di tutta un’umanità che soffre e che non smette di lottare.

Basile è capace di unire folk e blues a un cantautorato che alterna l’italiano al dialetto catanese. Con l’italiano la sua voce è calda e avvolgente come lo era quella di De Andrè, col siciliano, invece, diventa più aspra, si sporca (“il dialetto è sangue e terra”, mi disse in un’intervista). La sua chitarra in certi punti diventa un sitar, e ci accoglie in un abbraccio mediterraneo che si completa con l’accompagnamento impeccabile dei suoi compagni di viaggio: Massimo Ferrarotto alle percussioni e Simona Norato alle tastiere, al tamburo, al flauto e ai cori.

Dal vivo esegue brani come Parangelia, Canzuni addinucchiata e Caminanti presenti sul suo disco omonimo (Cesare Basile, Urtovox 2013) e da spazio al suo nono lavoro, ”Tu prenditi l’amore che vuoi e non chiederlo più” (Urtovox, 2015), un invito a riappropriarci di un sentimento che ci appartiene, come un diritto dalla nascita e non come qualcosa che va mendicato. Sulla copertina una fionda e un rosario, simboli di lotta e di fede, non solo religiosa: “accostare queste due immagini rende più giustizia a Gesù Cristo di quanto non facciano milioni di messe!” mi ha rivelato a fine concerto.

Storie di persone ai margini, di dimenticati, di “buttani e buttaneri”, pupari, ladri, cantastorie e saltimbanchi animano un disco che gli è valso, anche stavolta, il premio Tenco. Ci troviamo “Franchina” e lo stesso microcosmo degradato di San Berillo raccontato da “Gesù è morto per i peccati degli altri“, film di Maria Arena. Con “U chiamanu travagghiu” Basile esalta la natura distorta del lavoro, che non è un diritto, non è dignità, non rende nobili: è cercarsi un padrone, diventare schiavi, ammalarsi. E a proposito di schiavitù arriva anche “Libertà mi fa schifo se alleva miseria”: uno stato di calma apparente con “il silenzio in cui pregano governi e banchieri” nasconde il fragore delle bombe con le quali esportiamo la nostra democrazia.

La musica di Basile è poesia che si fa “pratica”: non si limita a raccontare storie ma invita a riflettere e soprattutto a ridiscutere concetti che sono alla base della nostra convivenza, con un linguaggio rinnovato che combatte l’usura di un pensiero acritico stantio e arrugginito.

Vi aspettiamo il 25 marzo: OHMe prosegue con il concerto di Flavio Giurato al Teatro Del Giullare.

Claudia D’Aliasi



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