Avellino e Rovigo devono essere molto simili e, a parte l’accento, i Cranchi potrebbero tranquillamente essere irpini. C’è qualcosa di familiare che ci accomuna a loro, qualcosa che supera le distanze geografiche e che avvicina i ragazzi cresciuti pensando con le loro teste. Forse abbiamo ascoltato le stesse canzoni, abbiamo cantato Guccini a squarciagola da ragazzi e pianto con de André. O forse vivere in piccole città dà il tempo e la lentezza per pensare di più, mentre il resto del mondo viene risucchiato dal caos.
Ma svegli e attenti viviamo la situazione non sempre facile di chi deve confrontarsi quotidianamente con una realtà spesso marginalizzata.
“Morte al re, viva la repubblica universale” canta Massimiliano Cranchi quasi con la voce di un giovane De Gregori. “Volevamo uccidere il re” che oggi non è una persona fisica: è il simbolo del pensiero unico che appiattisce le menti e le speranze dei giovani, è il predominio dell’omologazione culturale, è l’egemonia dei forti sui deboli, è un’assuefazione alla sconfitta, è la nostra bandiera bianca. In pratica l’uccisione del re è l’emblema della rivoluzione.
Combattere a colpi di parole e con la musica, ricordare la voce e i gesti delle persone che a costo della loro vita hanno cambiato la storia (come Passannante o gli eroi della Primavera Araba) può e deve far rinascere in noi una scintilla, una voglia di cambiamento che deve passare necessariamente per la morte di questo subdolo e meschino sovrano che continuiamo a nutrire e a supportare, spesso a nostra insaputa.
Per riascoltare il live dello scorso 3 novembre al Ynot bar basta cliccare PLAY.
L’ultimo brano è stato registrato in strada, in giro per il corso di Avellino.
Cranchi LIVE [Download Podcast mp3]
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