Dopo essersi divertito a guardare l’interminabile partita del campionato europeo che ha visto l’Italia e l’Inghilterra sfidarsi fino ai rigori e la prima vincere sulla seconda squadra, Eric Chenaux si prepara per il concerto, conscio del fatto che i festeggiamenti disturberanno la quiete che un live come il suo richiederebbe. Noi ce ne freghiamo e lui per primo: sorride al ronzio assordante e intermittente dei claxon che si rincorrono nel vicolo.
La sua musica scarna eppure fortemente emotiva zittisce quel rumore che da fuori dispettoso vuole entrare in sala per distoglierci dalla sua “voce e chitarra” (sono questi gli unici elementi di cui Eric si serve, e lo specifica anche il titolo dell’album).
Una voce, una chitarra e due pedali, più forti di cori e trombette impazzite.
Le sue delicate composizioni suonano come un soul raffinato con venature jazz ma anche ambient, perdono una consistenza tangibile e creano una nebbiolina, sembrano scivolare sulla pelle ma poi ti restano attaccate addosso, come un buon profumo.
Eric cerca uno spunto anche in ballate folk, in digressioni sperimentali, nonché in echi medievali. Neanche la lingua inglese gli basta, affascinato dal suono del serbo.
E’ un musicista elegante che con voce pacata ha molto da raccontare, mentre la sua chitarra “piange dolcemente”.
Eric Chenaux
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