Poche ore prima del fantastico concerto svoltosi lo scorso 10 maggio all’ex asilo patria e lavoro di Avellino abbiamo portato Baby Dee e Little Annie al Godot per un aperitivo ed un’intervista.
Baby Dee e Little Annie due personalità che sembrano diverse l’una dall’altra ma che insieme fanno musica e performances uniche e indimenticabili. Come e quando vi siete incontrate?
Baby Dee – Ci siamo incrociate sulla quindicesima strada (NY, ndr) ci siamo semplicemente salutate. Lavoravamo nello stesso quartiere, vivevamo nella stessa zona, avevamo molti amici in comune ma non ci conoscevamo affatto.
Little Annie – Le cose in comune sono così tante che è strano non essersi incontrati prima. Addirittura le nostre case erano l’una di fronte all’altra.
BD – E poi finalmente ci incontrammo a Barcellona, Marc Allmond faceva il suo primo spettacolo fuori dall’Inghilterra e invitò Annie e me ad aprire la performance. Iniziammo a parlare e da allora abbiamo fatto molti tour insieme alternandoci sullo stesso palco. Da Barcellona in poi non ci siamo più separate.
LA – Siamo diverse ma simili. Diversamente dalle apparenze in fondo ci assomigliamo, per come la pensiamo, per esempio. Lavoriamo bene insieme perché veniamo dallo stesso ingranaggio.
BD – Ma siamo anche molto diverse. Annie faceva parte della scena punk newyorkese mentre io non avevo nemmeno l’ombra del punk in me. Mi interessavo di musica antica, suonavo in una chiesa. All’epoca i nostri mondi erano agli antipodi. Ma abbiamo un bel po’ in comune.
Poi un album insieme, State of Grace. Come lo avete realizzato? Perché avete deciso di farne uno insieme? In passato, ad esempio a Napoli qualche anno fa, avete suonato insieme ma l’album ancora non esisteva…
LA – Abbiamo lavorato inseme dovunque, le persone con cui lavoravo si erano trasferite in Europa e non mi piace sentirmi troppo al sicuro, facendo sempre le stesse cose per molto tempo, perciò abbiamo deciso di fare cose nuove insieme.
BD – Prima Annie faceva le sue vecchie canzoni ed io la accompagnavo al piano. Sotto sotto abbiamo sempre pensato di fare un album insieme e poi abbiamo deciso di lavorarci. Il primo brano che abbiamo scritto è stato Angels (Gone Before, ndr).
LA – A casa di Sister Mary, era il suo compleanno
BD – Siamo state a Cleveland per due o tre settimane. Volevo essere accogliente perciò chiesi ad Annie cosa preferiva fare e lei voleva guardare il telefilm dei Soprano tutto il giorno, dalla mattina alla sera. In quel periodo abbiamo iniziato a scrivere i brani. Abbiamo dato un buon ritmo al lavoro. Ogni canzone è stata scritta in modo diverso, in posti diversi. Il mio episodio preferito è quello dell’ultima canzone: siamo state separate per diversi mesi, avevo scritto un pezzettino piccolino al piano ed Annie un pezzettino piccolino di testo, quando li abbiamo uniti combaciavano perfettamente, in modo naturale.
LA – In un’ora, tutto d’istinto e velocemente.
BD – E’ stata la ricompensa per aver lavorato a questo disco per un paio di anni, forse uno per scrivere e l’altro per registrare.
LA – Aspettavamo qualcuno che producesse il disco ma erano tutti molto occupati. Alla fine non abbiamo un produttore, il che ci rende libere. Abbiamo lavorato duro, volevamo darci spazio l’un l’altra ma senza fermarci troppo a lungo. Eravamo super impegnate. Pianificare è stato difficile perché vivevamo in due città diverse.
E a proposito di Bonnie ‘Prince’ Billy?
BD – Richard, il tour manager di Annie ha avuto l’idea di farci cantare insieme. E’ un manager e un amico, ha prodotto il nostro cd, fondamentalmente.
LA – Will (Oldham, ndr) sa tutto di musica, e con quel pezzo ha dato il meglio di sé. Anche Eric (Chenaux, ndr) ha partecipato. Ha fiducia in noi e ci ha messe a nostro agio e sorprese positivamente.
Cosa mi raccontate della vostra performance live? E’ teatrale ma anche reale. Quale approccio avete con l’audience, cosa sentite quando salite sul palco?
BD – La musica si occupa di questo se scrivi delle belle canzoni che vengono dalla realtà. Quello che facciamo con le persone è cantare le nostre canzoni. Ed esse vengono fuori e includono chi le ascolta. Non studiamo in anticipo cosa fare con l’audience o come vogliamo che reagisca. Ovviamente tutti vogliamo essere apprezzati ma in realtà ciò che facciamo è scrivere canzoni e cantarle. E loro fanno il resto, se sono buone funzionano, altrimenti no.
LA – Lo stato d’animo condiziona tutto, non sappiamo bluffare. Ciò che vedi è ciò che realmente è. Non usiamo il palco come una terapia (vai da uno strizzacervelli se vuoi curarti!). Ogni giorno è diverso, ogni pubblico è diverso. Dee ha ragione, le canzoni hanno vita propria. Se ci sei dentro anche solo per un momento il tuo umore cambia. Se lo fai davvero è così. Spero che sembri reale quanto lo è.
BD – Il feeling con l’audience viene dalle canzoni e le canzoni vengono dalle parole. Tutti i testi sono parole di Annie ed hanno a che fare con il nostro rapporto, come nella nostra ultima canzone, io ho scritto qualcosa, lei qualcos’altro separatamente e insieme combaciavano alla perfezione come per magia. La magia viene fuori solo dopo tanto lavoro. Abbiamo lavorato duro all’album, è il risultato dalle parole di Annie e dalla nostra amicizia.
LA – Ne parlavamo ieri: ci sono canzoni di cui non sai il significato mentre le scrivi e poi le comprendi davvero solo dopo. Attraversando un paese insieme, parlando e confrontandoci scopriamo che “wow ecco cosa significa!”. Non decidi a monte di cosa parlare nelle tue canzoni, spesso sono profetiche. Scopri delle cose che vengono fuori inconsciamente.
BD – Noi non sapevamo assolutamente di avere così tante cose in comune quando ci siamo conosciute ma tante cose sono saltate fuori e ci sono tanti di quei posti che ho letto nei testi di Annie completamente spazzati via dal mio personale modo di sentire. Per esempio nella title track “Safe inside the Day” (intendeva dire “State of Grace”, ndr) Annie dice “incontrami dalla parte del Bronx, oltre il Willis Avenue Bridge…” e io ho attraversato quel ponte ogni giorno per 10 anni e so esattamente come ci si sente. Annie è l’unica persona che conosco che ha avuto a che fare con il South Bronx, un posto unico al mondo, è pericoloso, è pazzo.
Avete lavorato lì…
BD – Sia io che Annie. Forse nello stesso periodo.
LA – Abbiamo visto lo stesso mondo corrotto… un mondo che in estate ha dei colori spettacolari, si vedono anche nei film. Quando attraversi il ponte anche la temperatura sembra cambiare, il che significa molto per me. Poi ci siamo incontrate, non per caso.
BD – Non sapevamo di essere così affini. Io sono cresciuta a Cleveland, lei a Yonkers, le città americane maggiormente prese in giro!
AL – Vincerebbero l’Ugly Prize
Perchè?
BD – Perché non sono belle, sono sporche e squallide.
LA – Ci sono solo fabbriche e premesse per diventare persone frustrate e chiuse mentalmente.
Rischio di parlarne in modo poco romantico, ma solo perché non ci vivo più.
BD – C’è il Saint John’s. Sui giornali acquista un’aura mistica ma nessuno si sofferma sul fatto che è una clinica per drogati…
LA – Fanno terapie di metadone lì. Dee sa cosa intendo, abbiamo incontrato gli stessi personaggi con poche aspettative dalla vita, umili aspirazioni. Quando sei vittima dell’eroina il meglio a cui puoi aspirare é il trattamento metadonico. E’ tutto come “Il Mago di Ozz” prima della fase in technicolor. Avevamo la stessa voglia di scappare via.
BD – Cleveland è famosa perché aveva l’unico fiume infiammabile al mondo. Era così inquinato e tossico che se ci buttavi una sigaretta esplodeva! Facevano la guardia al fiume come altri stati fanno con le foreste per salvarle dalle fiamme. La città é famosa per il suo inquinamento, è cambiata negli ultimi tempi ma fino a 50 anni fa era un inferno puzzolente. Queste cose non cambiano in poco tempo.
LA – Se non ti senti a tuo agio lì, se senti che non è un posto per te, allora cerchi di sopravvivere e te ne vai. Yonkers è famosa per le gang (i Tanglewood Boys per esempio, ndr). Come Cleveland, non è Hollywood!
BD – Assolutamente! Un’altra cosa che io ed Annie abbiamo in comune è la concezione strana che abbiamo della religione. In un certo senso siamo religiose, ma abbiamo visioni “perpendicolari”.
LA – In modo diverso ma simile. Abbiamo dagli stessi desideri, speranze.
BD – C’è una cosa che amo di Annie e che non ho realizzato fino a due anni dopo aver scritto “Angels gone before”. Praticamente quelli che vengono considerati la feccia della terra, le persone peggiori, i violenti e anche le vittime di quelle violenze.. li chiama Angeli! questo non è comune, è meraviglioso! Nessuno lo farebbe. L’ho capito in ritardo, tipo un anno e mezzo dopo… Quando scrivi una canzone non sai veramente quello che fai. Devi farlo in uno stato di cecità, quasi come se fossi drogato, e devi finirla senza avere una coscienza che ti governa. E’ un salto enorme da affrontare, sei il pilota di un aereo e puoi solo volare bendato e non sai dove stai andando, è una follia. Devi sentire una necessità forte, devi volerlo, il risultato non lo vedi subito, lo capisci solo lavorandoci e poi, anche dopo molti anni, realizzi cosa volevi dire.
LA – E’ come farsi delle domande a cui ancora non hai le risposte. Se scrivi in modo retrospettivo non hai la stessa carica emotiva, pensi che sia noioso quello che scrivi.
Ci sei dentro, lo vivi senza capirlo perché ci sei troppo vicino!
BD – Esatto, fingere è l’eccezione alla regola, quando sai perfettamente cosa vuoi dire, accade anche questo, ma la maggior parte delle volte voli alla cieca.
LA – Nello showbiz alcuni dicono di scrivere per loro stessi ma non è vero, perché se scrivessero solo per loro stessi noi non potremmo ascoltarli. E’ ovvio che tutti lo fanno anche per se stessi, ma deve essere logico: se non ti interessasse degli altri non suoneresti in pubblico. Sarebbe un nonsense. Tutto ha un inizio, una parte centrale e una fine, molti non sanno dove sia la fine. Bisogna limare, io taglio molte cose, perché abbiamo esperienza. Ci vuole consapevolezza per stare sul palco. Ma anche la consapevolezza che oltre il palco c’è altro. Le persone cambiano ad ogni show ma la tua situazione è la stessa: cantare davanti ad un folto pubblico o ad una persona non fa differenza: se sei felice lo sei lo stesso, altrimenti non lo sei. Le persone non vengono allo show per ascoltare i nostri problemi, hanno già i loro! Realizziamo il fatto che stiamo su un palco ma senza fingere. Anche se il palco è per terra, cosa che amo perché è ancora più reale. Non voglio andare via senza aver capito cosa ho vissuto, voglio emozionarmi… se voglio solo intrattenimento preferisco guardare i fratelli Marx.
BD – Sei una chiacchierona! Blowhard è un’espressione americana che adoro. Anche io sono una chiacchierona quando scrivo canzoni. Un mio amico mi raccontò una storia bellissima: quando era un bambino andando a scuola in treno incontrò un altro bambino che era un vero chiacchierone e parlava ad alta voce. Questo gli chiese “C’è antisemitismo nella tua scuola?”. Il mio amico che non voleva ammettere di non aver mai sentito prima la parola antisemitismo, avendo studiato Aristotele e l’equilibrio fra due estremi disse: “nella nostra scuola cerchiamo di averne né troppo né troppo poco!”. Ecco cosa rispose al chiacchierone.
LA – Anche i politici sono chiacchieroni, ma dicono solo stronzate!
Baby Dee & Little Annie – Intervista
Intervista e traduzione di C. D’Aliasi
fotografie di Al. Farese e P. Spagnuolo
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