Baby Dee & Little Annie (pt2)

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Baby Dee e Little Annie LIVEAlessandro appoggia una forchetta sull’altra e, toccando delicatamente la prima, essa dondola sulla seconda senza cadere, in perfetto equilibrio. E’ solo un gioco per liberare la mente dalla tensione accumulata nelle ore precedenti, quando le responsabilità da fonico sembravano mozzargli il fiato. Tutti avevamo paura di non essere all’altezza di una sfida così ardua: portare due leggende ad Avellino e fare in modo che tutto sia perfetto.
La cena è appena terminata, i brindisi consumati per celebrare una felicità così carica di stupore da non trovare parole. L’adrenalina non cede ancora alla stanchezza.
Baby Dee e Little Annie sono al tavolo con noi, partiranno domani e noi continueremo a buttarci in nuove avventure musicali, pensando ad oggi come ad un sogno. L’intensa e frenetica giornata inizia ad ora di pranzo, a casa di Luca, il nostro Fitzcarraldo.
Appena arrivata mi imbatto in Baby Dee, seduta al tavolo, col bastone messo da parte. E’ imponente, mascolina, con quel faccione incorniciato da un cespuglio di capelli arancio fluorescente, uno spettacolo freak, un concentrato di opposti caratterizzato da un’ironia spietata. Poi mi volto e vedo Little Annie: uno scricciolo con occhi e bocca enormi che captano ed esprimono più di quanto possano contenere. Trasuda curiosità e amore, “un amore supremo” che oltre ad essere una citazione e sulla sua pelle un tatuaggio è anche una annielivedichiarazione al mondo. I suoi sentimenti fluiscono continuamente e a tratti si inceppano nel suo slang trasandato, sfatto e sbiascicato. Dee ed Annie si portano addosso il loro vissuto poco comune, la faccia squallida del Bronx, la sporcizia di Cleveland e i crimini di Yonkers. Quante volte hanno percorso quel ponte a NY, si sono incrociate per anni senza sapere di essere due anime affini, certezza emersa lentamente in superficie colmando le loro apparenti diversità e rendendole inseparabili. L’album State of Grace parla di questo e degli angeli vestiti di stracci. Le note di piano dell’ex organista di chiesa (Dee) si uniscono alle parole che trasudano pathos dell’ex punk (Annie). Insieme le due personalità si incastrano come in un puzzle, ne esce uno spettacolo che sembra un cabaret o un musical ma che parla di realtà – quella che molti rifiutano – da un punto di vista molto originale. Affrontano la musica come un viaggio alla cieca, sorprendente quanto precario. “E’ brutto non sapere dove stai andando e perché lo stai facendo, ma è così che si scrivono le canzoni” dice Dee. Continua Annie “Il palco non è una terapia, non c’è un effetto studiato ma abbiamo consapevolezza”. Questo ed altro mi raccontano in un’ intervista facendo un aperitivo al Godot, prima di esibirsi. Si lasciano fotografare mentre Dee spizzica mortadella e Annie solo formaggi perché è vegetariana.
Il cielo minaccia pioggia, il sound check ci aspetta. Annie trova interessanti le vie di fuga del parquet dell’Ex Asilo Patria e Lavoro su cui sta per esibirsi. Non mi sorprende, i suoi quadri sono pieni di forme geometriche. All’ingresso troviamo in mostra le foto del nostro “Ossarotte” Paolo Spagnuolo.
Ad aprire il concerto c’è Jordan Hunt al piano, che poi accompagnerà le due dive al violino.
Jordan ha nelle sue movenze la nobiltà di un lord inglese. Timido dal sorriso luminoso e dagli occhi puliti si sforza di pronunciare qualche parola in italiano ma con discrezione.
Formazione classica, voce eterea, toccante e con ampia estensione. Canta canzoni sue (ad esempio Peter) una cover di Baby Dee (On the day I died) e una di Lana del Rey (Born to die) eseguite magistralmente. Anche una mosca che vola in modo sgraziato sul pianoforte sembra trasformarsi in una farfalla.
Poi arrivano le due regine. Dee sui tacchi è ancora più grande, prende posto al piano, mentre Annie si avvicina al microfono, gioca con il bastone, fa dei passettini mentre sgrana gli occhi sul pubblico pietrificato dall’emozione. Iniziano con Love to break the fall, poi Annie ci parla della libagione, ovvero il rito di versare il vino per terra quando qualcuno muore o viene messo in prigione, premessa per il blues Angels gone before. Solo Little Annie ha la capicità di chiamare Angeli i drogati e i dimenticati. Tornano alla carica con Pain Check e dopo i duetti Dee conduce lo spettacolo da sola liberando i suoi brani, soprattutto quelli di “Safe inside the day“: inizia con la storia di Bobby Slot and Freddy Weiss (The dance of diminuishing possibilities) e continua con la delicata poesia “I am a stick and I am happy” (sono un bastoncino e sono felice), poi Fresh out of candles, una canzone dedicata a Gesù che un giorno andò a vedere un loro spettacolo, era seduto fra un pubblico molto ridotto, ma apprezzò la serata. The only bones that show è l’ultima a vederla da sola, poi tornano Jordan ed Annie che con la sua voce sommessa e graffiante intona la fragilità di Never dreamed you’d leave In Summer. Si apre un siparietto, Annie caccia un testo dalla scollatura: facciamo questa, Back in the day, un gioiello anni’30.
Infine State of Grace, la title track, le vede in un duetto che unisce le due versioni del disco, la prima di Annie con Will Oldham e la seconda di Dee da sola, un capolavoro che costituisce il momento più alto del climax. Nel verso “mi riconoscerai dalla paura che porto negli occhi” ho visto Annie e Dee condividere pezzi di anima, storie del Bronx e lacrime, ed è come se avessi afferrato il senso e la profondità della loro amicizia, all’improvviso. A fine canzone si guardano intensamente e noi non possiamo fare altro che alzarci in piedi e applaudire forte a lungo, finché Annie non si commuove e finché non tornano tutti insieme sul palco per un ultimo pezzo.
A fine spettacolo, quando tutto è spento, le due principesse commentano: “fossero tutti così i concerti, uno dei migliori che ricorderemo. Sentivamo il pubblico vicino ai nostri cuori. Non volevamo un suono troppo pulito e cercavamo elementi che sembrassero casuali, “careless”, e gli armonici del violino hanno dato quell’effetto. I complimenti a tutti per l’accoglienza, a Claudia per l’intervista e soprattutto al fonico: non era facile gestire il riverbero della location!”.
Detto questo si abbracciano, come per complimentarsi l’una con l’altra e per rinnovare un patto d’amore nutrito dal blues.

Jordan Hunt LIVE

 

Baby Dee & Little Annie LIVE

httpv://youtu.be/8vmKD4Uwn84

httpv://youtu.be/OkJPoDhCYGw



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