Il 20 dicembre 2014, alle ore 17.00, presso il “Godot Art Bistrot” di Avellino, si è tenuto il quarto ed ultimo incontro della quarta edizione del “Caffè filosofico del Godot”, rassegna curata da Leonardo Festa e patrocinato dal “Borgo dei filosofi”. L’appuntamento ha avuto come protagonista la professoressa Anna Donise, docente di Filosofia morale e teorie etiche, presso l’Università di Napoli Federico II.
Lo scopo della Donise è stato quello di analizzare un noto sentimento, come quello dell’empatia, non soltanto su di un piano meramente filosofico ma anche da un punto di vista psicopatologico, cercando di metterne a tema caratteri del tutto inaspettati.
Quando ci si chiede che cosa sia l’empatia, ci ha mostrato la Donise, siamo soliti propendere per una definizione positiva, auspicando che attraverso tale sentire, l’altro possa comprenderci. Della empatia, ci sono state fornite, nel ‘900, tre diverse letture: la prima nozione di empatia è stata offerta da un filosofo dell’arte, il quale ci dice che il nostro sentire consiste nel proiettare nostre qualità d’animo su di un particolare oggetto. La seconda definizione di empatia, ci è stata fornita da Theodor Lipps, e pone alla base la relazione di tipo imitativo: un uomo empatizzerebbe, secondo Lipps, rivivendo l’altrui sentimento e immedesimandosi nell’altro. Vi è poi infine, la terza nozione di empatia, che si presenta come critica alla seconda e che ci è offerta dalla filosofa tedesca Edith Stein. Secondo la Stein, Lipps avrebbe confuso l’empatia con l’unopatia, in quanto attraverso l’immedesimazione vi è un dissolvimento dell’io nell’altro, si riconoscono così le emozioni altrui come se fossero le proprie e negando l’altro. Ciò che bisogna fare, secondo la Stein, è distinguere i singoli vissuti. Dal punto di vista di Jaspers, che è un filosofo ma anche uno piscopatologo, spiega la docente: “Diventerebbero così comprensibili solo psicopatologie simili alle altre!”.
Anna Donise, ha mostrato come Karl Jaspers, partendo da una prospettiva puramente medica, ha offerto un vasto contributo all’interpretazione dell’empatia, fornendo dei veri e propri mezzi per empatizzare con l’altro. Tra i diversi mezzi ci sono: l’osservazione dei gesti, dello sguardo,del colorito del volto, ma soprattutto il porre domande, cercando di comprendere il punto di vista altrui. Dunque l’empatia, è qualcosa che deve avere a che fare con una moltitudine di elementi e che non può essere un qualcosa di unicamente immediato ed intuitivo. Importante per stabilire la relazione empatica è la narrazione, il mettersi nei panni altrui in termini assolutamente cognitivi.
Il discorso si è concluso portando in luce un secondo livello di empatia: il fatto che io possa comprendere, comporta sempre e comunque l’accoglienza dell’altro? Come Max Scheler mostra – ha spiegato la Donise – l’insensibile non empatizza affatto, il brutale è in grado di sentire il vissuto altrui senza prenderlo assolutamente in considerazione, il crudele sente molto bene l’altro e usa questo suo alto grado di empatia per produrre dolore, a tal proposito la Donise ha osservato: “Ciascuno di noi, a volte, nella propria vita è insensibile, brutale o crudele”. Non sempre il nostro saper sentire l’altro ci porta, necessariamente, verso azioni “buone”.
L’incontro si è concluso con una specifica domanda della docente: “Cosa ce ne facciamo, in quanto esseri umani, di questo sapere sull’altro?”.
La questione lascia aperto un dibattito etico di notevole interesse.
Antonia Buono
Caffè Filosofico: Empatia
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