Sabato 22 marzo si è tenuto al Godot Art Bistrot un caffè filosofico dedicato al romanzo Furore, moderato dal prof. Paolo Ricci. Durante l’incontro, il Professore di Economia all’Università del Sannio ha evidenziato i nuclei tematici salienti del capolavoro di Steinbeck, mostrando i legami tra il mondo successivo alla crisi del 29 e quello attuale. A detta di Ricci, Furore è un romanzo che conferma come talvolta anche da letteratura non scientifica si possono ricavare indicazioni importanti per capire fenomeni contemporanei. Steinbeck, scrittore ma anche giornalista, condensa in esso realismo sociale, annunci biblici e spunti filosofici, sovrapponendo costantemente un aspetto narrativo, legato all’odissea di una famiglia, ed uno argomentativo, dedicato alle trasformazioni sociali di un tempo. The Grapes of Wrath è però innanzitutto il racconto di un grande viaggio, causato dalla grande polvere, la Dust Bowl, che spinge una famiglia a spostarsi dall’Oklahoma alla California: si scappa dalla polvere ma anche da un sistema economico che non regge più. E se il viaggio rappresenta la condizione necessaria per sopravvivere, la famiglia è il soggetto che raccoglie questa sfida. Coprotagonisti del romanzo sono poi degli elementi: la polvere, una tartaruga, la casa, la Route 66, un volantino, un vecchio camion Hudson. Questi tasselli fanno la struttura del romanzo. E poi ci sono una serie di sentimenti, o meglio un intreccio di reazioni alle ingiustizie, alla povertà, all’insicurezza, che provocano non certo paura, ma piuttosto ansia.
Chiarissimi i temi di attualità del romanzo. Innanzitutto, l’idea della banca come mostro senza volto. Essa respira profitti e mangia interessi: per non morire, è obbligata a fare utili continuamente e a crescere. Il modo migliore per competere è essere grandi, insegna la globalizzazione, e il primo effetto della crescita è la spersonalizzazione. Il patrimonio di una banca è la sua grandezza, che obbliga però il suo proprietario a diventare servitore della sua proprietà. Non siamo molto lontani dalla finanza speculativa odierna. Il capitalismo attuale sembra confermare il destino finale immaginato dal romanzo: BlackRock detiene il 25 per cento degli investimenti mondiali, ragion per cui è indice di superficialità pensare che siano le riforme a determinare il valore dello spread. Da questo punto di vista, i delegati di Steinbeck ricordano da vicino l’odierna classe dirigente, che si trova a presentare la situazione attuale come un dato immodificabile. C’è allora un grande assente: lo Stato. La banca è una impresa: che cos’è una impresa, che cos’è un mercato? Strumenti dell’agire umano o fine? Basterebbe ricordare che la banca è fatta di uomini, e che è innanzitutto una impresa infrastrutturale che dovrebbe aiutare le altre imprese a vivere meglio.
In Furore domina inoltre il tema della libertà: al protagonista che si sente dire «questo è un paese libero», si contrappone la percezione che la libertà sia un bene da poter comprare: il viaggio sancisce così la fine di un sogno, ma non produce nei protagonisti effetti, se non smarrimento e confusione. Sulla Route 66 non cresce la consapevolezza della famiglia Joad. Disperazione o speranza?
Accanto alla libertà, domina poi il tema della dignità umana e dei diritti fondamentali dell’uomo. L’assenza dello Stato è indice di come, in realtà, di esso non possiamo fare a meno, soprattutto in considerazione dei momenti in cui l’economia sembra in grado di sospendere i grandi diritti.
È quindi presente nel testo una forte componente politica, un manifesto sull’uomo e sulle sue speranze. Il compito dell’uomo è pensare, ed egli dinanzi ai grandi cambiamenti non può essere solo. Di qui un passaggio dall’io al noi, evidente anche quando debito e rabbia mostrano un confine labile che determina cambiamenti imprevedibili.
Diversi quindi sono gli insegnamenti che possiamo trarre da Furore. Innanzitutto l’indispensabilità della politica, insita nella natura umana. Anche Tom, Mà, Casy sono testimoni di tale necessità. Se oggi abbiamo sviluppato una capacità di arrabbiarci meno non è tanto perché siamo più democratici, ma perché abbiamo perso la persona politica. L’economia produce danni quando prevale sulla politica ed erige modelli che portano su quel famoso crinale fame-rabbia. Le crisi strutturali o di modello richiedono allora misure strutturali e significative: spesso invece le riforme sono l’arma del capitalismo per destabilizzare i popoli, visto che le riforme non si fanno e lo spread scende. I cambiamenti veri, allora, sono quelli che mutano le forze inerziali e richiedono lotta ma non solo: anche perdite e recupero della centralità di alcuni elementi. I componenti della famiglia Joad hanno perso casa, affetti, amici, ma non la speranza, perché vogliono lottare. Furore rappresenta allora un inno a resistere con le idee e con la costruzione delle comunità.
Leonardo Festa
Caffè Filosofico: Furore
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