Atmosfera cinematografica, musiche morriconiane che sanno di western, ma non solo. Il deserto americano lo ritroviamo sorprendentemente vicino nella vita di un piccolo centro abitato emiliano, in quella quotidianità fatta di giornate davanti ad un bar, aspettando che passi la bella del paese. Che si chiami Teresita o Flavia ha poca importanza: la bellezza che ispira il suo passare diventa una canzone.
I Sacri Cuori miscelano con grazia, eleganza e senso della misura blues e balera romagnola, così come surf e sonorità mediorientali. Alcuni assoli del chitarrista e compositore Antonio Gramentieri sono decisamente anni ’70, psichedelici ed Hendrixiani, altri ci trasportano in un mondo pulp alla Tarantino. Il potere evocativo di queste note ci fa sentire il caldo di un sud secco, asciutto e inospitale, ci rapisce in un miraggio sonoro.
Essere musicisti di professione li fa autodefinire “una razza in via di estinzione” e questo non li rende superbi ma al contrario puri lavoratori che macinano chilometri e si ammazzano di concerti. Il loro mestiere li porta in giro con Hugo Race nel progetto Fatalists e in America, dove registrano Douglas and dawn e Rosario, quest’ultimo vanta collaborazioni del peso di John Convertino (dei Calexico), Mark Ribot ed Isobel Campbell.
Per i Sacri Cuori mescolare la tradizione nostrana con la musica d’oltreoceano è una vera missione. Le colonne sonore italiane sono un po’ come un “ritorno a casa” dopo aver ascoltato tanta musica straniera e la band, a tal proposito, non tarda a dedicare un pezzo al maestro Trovajoli, da poco scomparso.
httpv://youtu.be/Zqn5FgEgKqQ
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