OHMe continua con Lino Capra Vaccina

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La musica deve aiutare a svegliarti, non a dormire

30 aprile 2016

Lino Capra VaccinaDopo aver ospitato Cesare Basile, Flavio Giurato e i The Necks, la rassegna itinerante OHMe, curata da Franco Cappuccio e Enzo Schiavo, prosegue, sempre a Salerno, con il concerto di Lino Capra Vaccina.
A fare da introduzione la performance di Legni & Ombre, progetto del percussionista salernitano Alessandro Ferrentino, accompagnato dalla violinista Maria Anna Siani. Il loro è un live dalle atmosfere esotiche, arricchito dalla presenza dello Hang, un affascinante strumento idiofono di invenzione piuttosto recente.

Lunga è invece la storia di Lino Capra Vaccina: sperimentatore d’avanguardia, percussionista del Teatro alla Scala, fondatore negli anni ‘70 degli Aktuala, insieme con Walter Majoli, e del gruppo Telaio Magnetico con Franco Battiato e Juru Camisasca. Numerosissime collaborazioni (ad esempio con Claudio Rocchi e Paolo Tofani), due album negli anni ‘90 (“L’attesa” e “In cammino tra sette cieli”) e infine la pubblicazione di “Arcaico Armonico”, un disco che ha suscitato un grande successo di critica e che può essere considerato il seguito di “Antico Adagio”, capolavoro del 1978, ristampato l’anno scorso per l’etichetta Die Schachtel.

A fine concerto ho incontrato il Maestro per porgli qualche domanda.
Claudia D’Aliasi: Ti sei appena esibito al Teatro del Giullare di Salerno, qual è la tua impressione?

Sono stato molto bene, sono felice di essere qui con le mie musiche, ci tenevo da un po’ a venire in città piccole come Salerno, ma anche come Pescara e Perugia, che sebbene di provincia andrebbero rivalutate e messe sullo stesso piano delle grandi città, perché qui il pubblico ha voglia di ascoltare musica sperimentale, c’è molta attenzione e molta più curiosità che nelle metropoli.

CD: Ascoltando il concerto di stasera mi chiedevo quanto ci fosse di improvvisato. Gran parte della musica che hai suonato immagino sia prestabilita ma forse lasci un piccolo spazio anche all’improvvisazione.

Sì. Quando compongo lavoro in modo tradizionale: penso a una struttura, fraseggi, ritmi e melodie, partendo da una ricerca sonora e timbrica. Poi, dopo aver scelto i vari suoni da usare, inizio l’architettura del brano. Sia in fase di registrazione che dal vivo lascio una parte – che va a completare l’architettura e a rifinirla- libera di reinventarsi. La ricerca deve continuare, anche durante l’esecuzione, e senza lasciare quel margine di sperimentazione, il lavoro diventa sterile. Il concerto che hai ascoltato stasera non lo ascolterai più perché è stato unico, così come quello di Roma, Milano, Viterbo, Bruxelles, tutti concerti irripetibili che resteranno solo nella memoria di chi li ha ascoltati… Pensa che nella musica barocca succedeva la stessa cosa: c’erano canovacci, strutture di base, ma poi sia Bach che Vivaldi spesso improvvisavano. Quindi ripesco un po’ una certa tradizione.

CD: Sembra strano accostare la tradizione al concerto che ho ascoltato stasera!

Capisco cosa vuoi dire, ma se hai potuto fruire così bene il concerto è anche perché al suo interno c’è della tradizione. La prospettiva di quello che si crede tradizionale deve cambiare, la musica accademica spesso non aiuta il fruitore medio a scoprire questa musica. Se invece vai al di là del concetto di “tradizionale” e lo scavalchi puoi entrare in una percezione sonora priva di aspettative e aperta a un sentire altro, profondo e interiore.

CD: E le suggestioni che sembrano provenire dall’Oriente e dall’Africa, costituiscono uno spunto nato dall’ascolto di musica tradizionale?

Nella mia vita ho ascoltato e studiato tantissimo sia la musica tradizionale indiana che quella africana, ma anche quella mediorientale. Oggi anche in quei Paesi esiste una trasformazione dovuta all’influenza di meccanismi commerciali, per questo bisogna andare a ritroso. Anche con gli Aktuala facevamo una ricerca specifica nell’ambito della musica africana e orientale, ed è una cosa che, in qualche modo, continuo a portare con me, perché mi interessa questo connubio con gli strumenti sperimentali che uso.

CD: Il tuo ultimo disco “Arcaico Armonico” si basa proprio sulla ricerca della vibrazione e delle frequenze, cosa di cui la musica africana è ricca.

Sì. Nell’ambito delle musiche tradizionali extraeuropee, il concetto del “suonare” è molto diverso da come concepito in Occidente. Non c’è nulla di virtuosistico: la musica appartiene al rituale, è il centro delle loro attività, che si tratti di una nascita o di una morte, così come di un matrimonio o di una raccolta. Quindi la frequenza sonora – secondo me, ma non solo – è all’origine di tutte le cose. In questo disco in particolar modo ho voluto soffermarmi sull’influenza della frequenza sonora anche laddove tu non la percepisci in modo consapevole. Si muove, vive in te e ti guida anche verso l’autoconservazione. Da quando siamo bambini ascoltiamo la risacca marina, le foglie mosse dal vento, lo stesso rombo di una città trafficata, una sorta di bordone a cui siamo assuefatti ma che ci accompagna. Ce ne accorgiamo solo la notte, quando questo rumore si affievolisce. L’ho imparato vivendo a Milano!

Antonio Ciarletta (Blow up, Ondarock): Credi nella musicoterapia? Nel momento in cui la musica la si impacchetta per curare secondo degli standard, non perde le sue caratteristiche?

Domanda molto interessante. La musicoterapia è un’arma a doppio taglio. Nelle civiltà arcaiche lo sciamano la praticava, ma con una coscienza che oggi forse non c’è. Conosco bene il potere dell’influenza del suono, e se sbagli ad usarlo fai dei danni molto gravi. Dove credi di svegliare delle energie magari le stai opprimendo o deviando. In generale sono favorevole, avvicina a dei mondi positivi, ma è un campo molto delicato. Spesso rischi di far spegnere il tuo sentire e la musica deve aiutare a svegliarti, non a dormire!

AC: La musica post-industriale anni ’80 ha proprio questo effetto lenitivo che ti stordisce o che in certi casi ti mette ansia…

Gli anni ’80 non mi sono mai piaciuti, ai miei tempi i Tangerine Dream mi facevano questo effetto. Molto diversi dai Popol Vuh, che adoro!

CD: Questa consapevolezza musicale che ti contraddistingue ti apparteneva già ai tempi di “Antico Adagio”, di cui abbiamo ascoltato un brano stasera? Cosa ti piaceva ascoltare?

“Band of gypsys” di Jimi Hendrix, Don Cherry, “Olè” di Coltrane, con quel basso modale… ho sempre avuto una certa coscienza, sin da giovane, che mi diceva che la ricerca sonora fosse la strada giusta da percorrere, una consapevolezza che con il passare del tempo si è perfezionata sempre più, ma che senza una ricerca spinta dalla curiosità non puoi raggiungere. Sono partito dalla musica per poi passare al suono, dal suono alla frequenza e dalla frequenza al silenzio, che è il principio di tutto.

CD: Da una “vecchiaia” a una nuova nascita.

Esattamente.

CD: Tornando a stasera, chi ti ha accompagnato durante il live?

Camillo Mozzoni, oboista presente anche nel disco “Arcaico Armonico”. L’ultimo brano che abbiamo fatto oggi è proprio “Arcaico Armonico”.

CD: …prima del bis.

Giusto! E poi c’è Angelo Contini, l’ho coinvolto negli ultimi due o tre concerti. Devo confessarti che non amo molto il trombone, in generale. Lui viene dal campo improvvisativo, derivato dal jazz e io l’ho subito frenato, dicendogli che il “free” se lo poteva scordare, perché con me è tutto scritto! Gli ho chiesto di ascoltare la tromba di Jon Hassell, e poi l’ho indirizzato sulla strada che avrei voluto percorrere, con l’uso della sordina, poi della conchiglia e del flautino, che è anche un riferimento ai miei primi lavori, un po’ un ritorno alle origini.

CD: Durante il concerto avviene una magia: la musica incontra la reazione del pubblico. La vibrazione rimbalza, il che rientra anche nel discorso del rito.

Sì, ho bisogno di sentire il “sentire” del pubblico. Nel mondo della musica commerciale il dialogo è a senso unico, se c’è qualche manifestazione di ritualità è di tipo orgiastico, demoniaco.

CD: In cosa sarai impegnato prossimamente?

Ho una serie di live: Venezia, Bologna, Firenze, poi la Francia e l’Inghilterra… ma sto già lavorando a un nuovo progetto sonoro. Non è facile dopo “Arcaico Armonico”, ma i live mi danno la possibilità di metabolizzare il disco e quindi mi trovo a comporre nuovi brani in modo naturale. Poi insegno, il che mi distrae dalla composizione… ogni tanto mentre faccio lezione penso al prossimo disco. Speriamo che nessuno se ne accorga!

 



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