Sabato 14 marzo abbiamo assistito al ritorno della tanto attesa rassegna Parola Di Lettore che, nell’arco del 2014, ha portato al centro della discussione autori come Italo Calvino, Fedor Dostoevskij e Agatha Christie.
Il primo appuntamento del nuovo ciclo di incontri, sempre al Godot Art Bistrot, è intitolato: “Modernità di un giovane favoloso: Giacomo Leopardi” ed è a cura della professoressa Anna Maria Pellecchia, già ospite del format nella lezione dedicata a Calvino.
Il progetto, dedicato quest’anno al tema delle radici, è curato da Giuseppe Pavarese, patrocinato dal Presidio del Libro di Avellino e vede la presenza di tanti giovani. Parola di lettore nasce dall’idea di stimolare il gusto per la lettura attraverso appuntamenti in cui anche il pubblico finisce col diventare protagonista. Ogni incontro, infatti, prevede due momenti: nel primo, quello documentato dal nostro podcast, l’ospite presenta l’autore al quale è dedicato l’appuntamento, mentre nel secondo è prevista una staffetta di lettura, sempre dedicata all’autore del giorno, al quale tutti i presenti sono invitati a partecipare.
Anna Maria Pellecchia, docente di letteratura italiana nei Licei e ospite del primo incontro dedicato al poeta di Recanati, dice: «come si può spiegare, oggi, la modernità di un poeta immenso come Giacomo Leopardi? Forse con il successo, magari inaspettato, di un film o, più probabilmente, rileggendo nella sua dimensione più assoluta quel messaggio perennemente attuale che la sua riflessione e la sua poesia trasmettono a chi li sappia frequentare con attenzione e rispetto. Un pensiero, quello di Leopardi, che affonda le sue radici nelle più importanti esperienze culturali dell’epoca in cui il poeta visse, ma che le reinterpreta, le fa proprie con straordinaria originalità, ne fa, infine, strumento per porre in termini talvolta radicali e sempre senza risposte consolatorie, quelle domande di senso che ieri come oggi individuano la cifra più problematica del nostro essere uomini».
Non lo si può certo ridurre agli stereotipi che gli abbiamo cucito addosso (di uomo triste e gobbuto), così come non può essere sufficiente definirlo “poeta dell’idillio”. Tanti i personaggi del passato che ne hanno parlato in modo ingeneroso (Benedetto Croce definisce “strozzata” la sua vita). In lui convergono le influenze dell’Illuminismo (leggeva de La Mettrie), del Neo-classicismo (per i suoi studi di greco e latino) e soprattutto di un Romanticismo privo di sentimentalismo e in cui l’anima racconta se stessa.
L’uomo è costantemente alla ricerca della felicità (un desiderio infinito), e Leopardi ne è consapevole. Per lui la poesia è una grande illusione (“i poeti mentono” diceva Platone) ed è solo grazie a questa dimensione lirica che la felicità è possibile. L’infinito, quel desiderio di andare oltre il limite, è la trascendenza senza religione, è il colloquio con la natura.
Seguirà un periodo di silenzio: la poesia non è possibile. Si dedica alle Operette Morali sperando di avere un successo che purtroppo non riesce ad ottenere.
Nel ’28 Leopardi ricomincia a scrivere poesie (come A Silvia, Il sabato del villaggio, Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia) con la volontà di recuperare “romanticamente” sentimenti come la nostalgia per la giovinezza perduta, il rimpianto per ciò che non è stato e la fine dei sogni.
Nella solitudine cosmica l’uomo si chiede domande a cui è impossibile rispondere.
L’ultimo Leopardi è quello che va via da Recanati. Vive a Firenze e poi a Napoli, città in cui si inserisce con difficoltà. Ne La Ginestra troviamo una natura che sovrasta l’uomo, non per sua volontà ma perché segue un ciclo che non può fermarsi. E l’uomo, a sua volta, non può fare altro che accettare la sua situazione e trovare una risposta nella solidarietà (la “social catena”). La modernità di Leopardi sta proprio in questo pensiero e nella formulazione di un nuovo intellettuale che si pone domande e che non accetta il dogma. E’, allora, davvero così pessimista come dicono?
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