“Beyond the realms of natural vision”. Questa frase, che potrebbe rappresentare il riassunto della serata, è la dedica che Stephen Lawrie ha scritto sulla copertina psichedelica del vinile che Alessandro, tolte le vesti da fonico, ha comprato a fine concerto. Non è stato semplice seguire dal mixer le folli distorsioni dei Telescopes che, dopo un brevissimo soundcheck, si sono scatenati in un live che ci ha portati “oltre il regno delle percezioni ordinarie”.
La formazione non è più quella originaria, ma Stephen porta avanti un progetto in cui non ha smesso di credere, nonostante il forte stress che nel ’94 gli ha provocato un successo pesante e inaspettato, disagio che ha costituito la rottura della band. Non voleva sedersi e comporre a tavolino: voleva semplicemente suonare, e tornerà a farlo qualche anno dopo, nel ’99, seguendo semplicemente le proprie inclinazioni, libero da condizionamenti. I primi Telescopes alla fine degli anni ’80 avevano cambiato le sorti della musica, e non solo del decennio successivo. Gli ultimi Telescopes, quelli visti ieri dal vivo, hanno una grande spinta vitale e prorompente, ci convincono con una nuova formazione, con l’oscurità di due chitarre e un basso, la batteria che sembra tamburo di guerra e quella voce che già conoscevamo dal vivo, ma in un contesto totalmente differente.
Si sa, i concerti migliori sono quelli che non lasciano opinioni unanimi ma che, anzi, provocano sentimenti contrastanti. Qualcuno abbandona perplesso il Teatro 99 posti – in cui in tanti siamo accorsi per riunirci come in preghiera – forse infastidito da quel muro di rumore violento ma “coordinato”, in cui non c’era caos o improvvisazioni annaspanti, ma una serie di onde che si alzavano per poi infrangersi su di noi spaventosamente, proprio come nelle mareggiate che diventano spettacoli terrificanti e sublimi.
James e Francesco, i due chitarristi, a turno scendono dal palco per colpirci più da vicino, Stephen si toglie le scarpe (che sia un gesto di sfida nei confronti dello Shoegaze?), si sbatte il microfono sui denti, si accovaccia per terra, urla i suoi lamenti infiniti, gira attorno all’asta, si attorciglia fra le spire del cavo del microfono e con esso scrive per terra come un bambino posseduto (a chi a fine concerto gli ha chiesto cosa abbia scritto ha risposto “non ricordo”).
Suicide, ultimo brano del primo disco “Taste”, in una versione rinnovata, è un lungo viaggio senza ritorno e corona un concerto meraviglioso che unisce il passato al presente e anche al futuro, visto che il pezzo di apertura non ha ancora un nome.
Così il Godot inaugura la sua nuova stagione, diversa da quelle precedenti e che ci promette non poche sorprese… ne vedremo (e sentiremo) delle belle.
The Telescopes – Interview
The Telescopes LIVE
httpv://youtu.be/rml0ajogFec
PS: a fine intervista i musicisti si mettono a tavola. Quando si rendono conto del fatto che non c’è spazio anche per me, Alessandro, Luca e Bianca, che ha cucinato in modo spettacolare, decidono di abbandonare le sedie e di cenare seduti per terra, con noi.
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