Cheval Sombre

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Lo scorso venerdì 12 Luglio Christopher Porpora – Cheval Sombre – si è esibito al Carcere di Avellino in occasione de La Bella Estate. Ecco l’intervista che mi ha concesso.

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Che cosa ha ispirato il tuo album “Mad Love” e perché hai affermato che è “una lunga frenesia delirante”?
Sai, molti aspetti della vita potrebbero essere descritti come lunghe frenesie deliranti. Per esempio essere nel giardino del carcere di Avellino mi è sembrato così, dopo essere stato accolto così bene alla stazione in quel caldo che aumentava, dopo aver bevuto una buona birra immerso nel profumo della lavanda, della menta e della salvia nella libreria, dopo essere stato nell’ottima compagnia di persone con un particolare senso estetico – qualcosa di inspiegabile, semplicemente così.
Mad Love è stato prodotto in simili circostanze, ma a New York. Desideri profondi, turbolenti e sensuali in campagna, nelle profondità della Hudson Valley, infinite bottiglie di cava (un vino spagnolo, ndt), stappate a Brooklyn, tappi tirati via da bottiglie verde scuro, la bellezza dell’amicizia spumeggiante davanti al mixer nello studio fino all’alba, musica – l’ebrezza della musica – di chitarre, violini, canzoni, organi trascorrendo così le notti, nascosti, protetti, dalla solita confusione della vita. Quando fu tutto pronto, finito, e il disco stava per uscire, non c’era altro modo di descriverlo, suppongo. Era come risvegliarsi dopo un lungo sonno con un leggero sapore di dolcezza sulle labbra.

Con chi hai lavorato alla realizzazione di questo album e quali sono le altre band con suoni quando non sei solista?
Proprio prima di partire per l’Italia ho suonato a Minneapolis, Dean e Britta e Sonic Boom erano con me sul palco. Siamo proprio una band quando andiamo forte! Noi quattro lo facciamo ogni volta che ne abbiamo la possibilità, specialmente se siamo ingaggiati negli stessi posti nello stesso periodo. Questa formazione per noi è un lusso. Oramai suoniamo insieme da un bel po’ – fin dalla realizzazione del primo album di Cheval Sombre – più o meno sei anni fa, Dean e Britta hanno dato il loro contribuito con dell’ottimo materiale anche per Mad Love. Sebbene io abbia lavorato più a stretto contatto con Pete su ogni canzone. Lo abbiamo fatto in uno studio meraviglioso che si chiamava Blanker Unsinn che non esiste più. Era il ritrovo degli MGMT. Anche questi ragazzi mi hanno aiutato nella realizzazione dell’album, suonando delle parti bellissime, creando un’atmosfera incantevole nella quale lavorare. Gillian Rivers, una violinista eccezionale, ha suonato delle parti mozzafiato. In verità parecchie persone sono state coinvolte nella registrazione, dando il loro contributo in tutti i modi. E’ stata sotto molti aspetti una situazione idilliaca. L’elemento costante è stato Nick Kramer con il quale ho fatto anche il primo album. La sua esperienza ha reso possibile registrare tutto in maniera sorprendente. Mi sono esibito con Nick e Gillian ed altre persone speciali nel corso degli anni. Ho fatto tesoro di ciascuna esperienza live, mi sono sentito fortunato sotto ogni profilo. Suonare con Pete, Dean e Britta, ultimamente, è stato come suonare in una orchestra vasta, ampia e pulsante. Avere la possibilità di suonare da solista in Italia mi ha dato l’opportunità di rivelare al pubblico qualcosa di davvero molto intimo, dovendomi basare solo su chitarra e voce. Ho scoperto che c’è una gloriosa ebrezza in entrambi i casi, sia nel suonare da solo che accompagnato dalla band. Ogni spettacolo è un’opportunità di grande bellezza e liberazione per tutti noi, e io mi sento fortunato e grato di poter condividere queste cose, specialmente attraverso le canzoni.

Sulla copertina del tuo ultimo disco c’è una delle lettere di Emma Hauck. Perché hai scelto quest’opera di “Outsider Art”?
Sharon Lock, il grande artista che vive a Londra, mi ha fatto conoscere queste lettere. Guardandole, come posso dire – mi sono sentito subito in sintonia con esse. L’intensità, il sentimento, l’abnegazione, la resa, tutto mi diceva qualcosa. La copertina di Mad Love è un’intuizione di Sharon. Forse un’interpretazione della similitudine fra le lettere di Hauck e ciò che la musica esprime. Eseguita in maniera eccellente, davvero sublime.

Raccontami qualcosa a peoposito delle cover: qual è la canzone tradizionale che hai suonato ad Avellino?
Trovo difficile spiegare cosa mi avvicina ad una canzone – c’è molto mistero in questo. Mi godo il mistero e non sento più la necessità di capirlo. Quando faccio una cover rendo onore ad una canzone che in qualche modo ha contribuito alla mia esperienza di vita. Ad Avellino ho suonato “Once I had a sweetheart”. A ripensarci penso che sia stata una scelta appropriata suonarla in un vecchio carcere. E’ stato uno dei luoghi preferiti del mio tour – che strano posto mistico – una prigione con un giardino bello e delicato. “Once I had a sweetheart” è venuta fuori in modo naturale. Ci sto pensando adesso per la prima volta – sulle esigenze chieste all’amore una volta che è imprigionato. Che cosa orribile, tremenda. C’è una registrazione di questa canzone in Mad Love. L’ho ascoltata per la prima volta in un album live di Joan Baez.

Stai scrivendo qualcosa per un nuovo album?
Dovrei dire che sto scrivendo, forse meno del solito ma lo sto facendo. La tua domanda mi ha fatto dare uno sguardo in giro e ho contato sette o più pezzi nuovi. Vedremo poi che ne farò. Mi piacerebbe scriverne una sul mio breve soggiorno ad Avellino, sulla bellezza di questo posto e la cordialità dei suoi abitanti. Forse verrà, ma non la forzerò. Qualcosa mi dice che ci sarà un’altra registrazione, prima o poi, un’altra cover, o anche due.

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