…And meet me in a dream of this hard land…
Ti scrivo dalla terra che hai amato.
Ieri ho avuto l’America negli occhi. Ho ascoltato i racconti della guerra di secessione sulle ginocchia di Lincoln, ho raccolto i frutti del furore con la famiglia Joad, tuffata nel fiume con Mary, giocato con gli orfani Finch in Alabama. Del resto sei stato tu ad insegnarmi la grandezza del cielo, la celebrazione e l’attesa delle stagioni.
Un uomo ha cantato per la sua folla. Veniva da molto lontano, dallo stato giardino. I suoi, gente di malaffare: rifiuti del vecchio continente, sangue protestante mischiato al melodramma cattolico. Hanno cresciuto questo figlio disgraziato tra un trasloco e l’altro, cullato nelle scatole di cartone, gli hanno insegnato a naufragare e lui ha imparato a nuotare.
Bruce Frederick Joseph Springsteen ieri ci ha fatto sentire giovani come l’America, antichi come la Terra. La sua E Street, solida come radici di quercia, dinamica e obbediente come una locomotiva segue il suo pater familias in ogni suo movimento, ad ogni improvviso cambiamento di rotta. E di tutta risposta il Capitano dirige ogni elemento della sua orchestra accudendo ed addestrando i giovani, gratificando i vecchi, onorando gli assenti.
Chi va a vedere Springsteen sa benissimo cosa lo attende: tre ore di concerto, il grande monumento americano con il suo collo taurino che abbraccia orde di fan impazziti, invita dolci donzelle a ballare o giovanissimi adepti a cantare. Chiunque potrebbe tacciarlo di essere prevedibile o, da grande show man, di calcolare ogni sua mossa per arrivare all’universale catarsi del pubblico, alla commozione, alle rivelazioni cercate con esasperazione per una vita intera, ma non è così. Il Boss è sul palco per te, e tu sei sul palco con lui. Le sue storie appartengono a tutti, persino la sua Rosalita può essere cantata per la donna di uno di voi: “Questo ragazzo è innamorato, bisogna che dedichi la canzone alla Rosy che ama!”. Dylan non lo farebbe per la tua Angelina o Johanna.
Come ogni capofamiglia che si rispetti, non asseconda mai i suoi umori, le sue debolezze, la sua stanchezza, lo show deve ruotare intorno alla grande tribù che guida in un atto di amore che non può avere eguali.
Fallimenti, fughe, telefonate nella notte. Dipinge grandi paesaggi e gli episodi della Bibbia ma non per sentirsi chiamare “artista”, Bruce è solo un magnifico cantastorie di perdenti e di sopravvissuti, di cuori di pietra. I sogni, poi, sono quelli che osservi ancora nei suoi occhi, grandi come i cieli di John Ford, ruvidi e scheggiati come le botti di whisky di Peckinpah. E’ l’America che ha raccontato e dove vuole riporre le sue ossa stanche. In tutta onestà non so ancora se l’America che ho ascoltato ieri e che tu mi hai insegnato a vedere prima di saper leggere esista sul serio; non penso neanche che sia importante. E’ un luogo dove vado con la mente, dove rivedo tutti i miei amati, ha il suono di un’armonica e lo scorrere del tempo è scandito dalle rive dei grandi fiumi. E’ sulla sponda sinistra che ti rivedo qualche volta mentre peschi sulle zattere di legno. Qualche volta accenni anche un saluto.
A tarda notte, sul suo jet privato, il Boss sa di aver donato tutto questo. Mi sembra quasi di vederlo, sdraiato su una poltrona di pelle con i suoi jeans neri, guardare fuori dall’oblò il Mediterraneo e il temibile Vesuvio. Chiude gli occhi e fa segno di sì con la testa. “Anche stasera ho fatto il mio dovere, anche stasera qualcuno si è incontrato sulle rive del fiume.”
A mio fratello Ciro
Bianca
Grazie a Giorgio Longobardi e a Francesco Guarino per le fotografie
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Immersa nel fiume della vita e della musica di Bruce. Brava Bianca!