DEATH IN JUNE – HEILIGE! TOUR 2012
Salerno, Forte La Carnale – di Paolo Spagnuolo
…14 dicembre – Roma, 15 dicembre – Londra, 16 dicembre – Salerno. Sono queste le ultime tre date dell’Heilige! Tour 2012 dei Death In June. Risaltano subito due aspetti: la strana programmazione che in tre giorni ha previsto un doppio viaggio in Italia e la coraggiosa scelta di Salerno come data di chiusura dopo 20 anni di assenza dal Sud Italia. D’altronde ai Death In June non si possono attribuire scelte facili anche a livello ideologico, iconografico e musicale. Più precisamente queste “complessità” sono sempre state le prerogative di Douglas Pearce, il fondatore del progetto della “Morte In Giugno”.
L’ascensione al Forte La Carnale di Salerno (con una sorta di mini-funicolare) è stato un po’come dare l’assalto ad un misterioso frammento di storia della musica e al suo culto. Una roccaforte che dalla metà del XVI sec. respinse diverse volte le scorribande dei Saraceni, il 16 dicembre 2012 si è arresa ai numerosi adepti dell’attuale incarnazione in versione duo della band inglese. Mai location poteva essere più appropriata.
Alle 23,30 Douglas Pearce e il fidato percussionista John Murphy salgono sul palco. La loro liturgia durerà 110 minuti. Nella prima parte, con indosso le immancabili maschere e le mimetiche, aprono un varco verso un baratro che prospetta una lunga caduta verso un ipnotico suono percussivo-industriale, basato unicamente su percussioni acustiche e litanie incociate dei due. Il fumo degli effetti avvolge musicisti e spettatori, lasciando così insinuare l’odore che scaturisce dal lento consumarsi di alcuni bastoncini d’incenso distribuiti sul palco dal loro rodie. Inaspettatamente, almeno per me, Douglas P. dopo pochi minuti toglie la maschera. Spalle al pubblico inforca degli occhiali scuri, indossa un cappello con visiera e prende la chitarra dodici corde. Il neofolk-dark dei Death In June resterà d’ora in avanti l’unico protagonista quasi fino alla fine. Qualcuno tra gli spettatori – quasi tutti decisamente over 30 – di tanto in tanto alza le mani al cielo con lenti movimenti, altri restano immobili ed estasiati. Il trucco pesante, i tatuaggi e gli arditi abiti scuri (quasi s&m) di molte ragazze fa da contrasto alla simulata semplicità dei suoni. Vecchie composizioni alternano alcune più recenti non scontentando nessuno.
…Little black angel I feel so glad
You’ll never have things I never had
When out of men’s hearts all hate has gone
It’s better to die than forever live on…
Little Black Angel (da But what ends when the symbols shatter?), rapisce tutti, ma lo stesso si può dire delle ottime versioni di Symbols of the Sun (una delle loro composizioni più psichedeliche), He’s Disabled e il folk apocalittico di All Pigs Must Die. Verso la fine She Said Destroy accompagna il folto pubblico alla conclusione dello spettacolo che riporta tutti per pochi minuti in quel limbo industriale che ha aperto un’esperienza fatta di quasi 30 canzoni.
Ero un ascoltatore superficiale dei Death In June – anche se il loro Nada! (1984) e un The Best li ho consumati letteralmente – ma dopo questo concerto le mie visioni sono e saranno certamente diverse. La mia attesa del prossimo tour italiano spero non sia troppo lunga.
Into that darkness
Into that darkness
Still broken, still bleeding
The crack of the neck
The gut shriek of thunder
The blood call of lightning
She said destroy in black New York…
httpv://www.youtube.com/watch?v=espOfrbob08&feature=youtu.be
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