Steve Wynn Solo Electric Show

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Steve Wynn suona ad Avellino e annuncia un nuovo disco con i Dream Syndicate.

Steve WynnIn occasione del concerto organizzato dal Godot Art Bistrot presso l’auditorium della Camera di Commercio di Avellino lo scorso 6 aprile, ho avuto modo di intervistare Steve Wynn, cantautore e chitarrista statunitense che nei primi anni ottanta ha fondato i Dream Syndicate e che, negli anni successivi, ha alternato alla sua carriera solista numerosissime collaborazioni: nel 1993 ha fondato i Gutterball con i quali ha pubblicato tre album; nel 2001 con i Miracle 3 (di Linda Pitmon, Jason Victor e Dave DeCastro) ha registrato uno dei suoi capolavori, Here Come the Miracles, e successivamente altri quattro dischi; dal 2008 ha iniziato una intensa collaborazione con The Baseball project e questa è solo una parte delle sue formazioni. Dal primo EP, seguito dalla pietra miliare The days of wine and roses, i Dream Syndicate di Wynn si inseriscono nel panorama del Paisley Underground, un genere che unisce la psichedelia al folk rock con influenze garage e che ha contraddistinto anche l’esordio di R.E.M., The Bangles, The Rain Parade e Green On Red. Quattro dischi con la sua band per poi dedicarsi con passione al suo percorso solista, iniziato con Kerosene Man (1990), lavoro che risente dell’influenza di Neil Young, Lou Reed e Bob Dylan (al quale ha dedicato un disco tributo) ma sempre contraddistinto da uno stile personale che diventerà il suo marchio di fabbrica, fino al Solo! Electric vol.1, del 2015. Ai microfoni di Radio Cometa Rossa annuncia la prossima uscita del nuovo disco dei Dream Syndicate, con i quali è tornato dal 2012 senza però precludersi tour da solista come questo.
Steve Wynn non presenta mai la stessa scaletta due volte, eppure aprire i concerti con Tell me when it’s over sembra quasi una tradizione. Così avviene anche ad Avellino, quarta tappa europea del Solo Electric Show che lo porterà in molte città italiane e poi in Svizzera, Germania, Svezia e Norvegia. Gli avventori lo accolgono con affetto, riempiendo la sala fino al tutto esaurito. Nella set list non potevano mancare The days of wine and roses, Burn, Love me anyway, Carolyn, The side I’ll never show, When you smile, Carelessly, Shelley’s blues pt.2, Boston e Amphetamine, tutte eseguite con grande energia. Il bello è vedere un uomo che suona da quasi quarant’anni e divertirsi ancora sul palco, amare chi viene ad ascoltarlo, fermarsi a fine concerto con tutte le persone che vogliono una foto o un autografo, con umiltà e buon umore. Questo è Steve Wynn.

Prima del live gli pongo qualche domanda che potete ascoltare in podcast in lingua originale o leggere qui sotto in italiano.

Cosa ci farai ascoltare stasera?

Ancora non lo so, ogni sera faccio la setlist prima dello show, nel camerino, in base alle sensazioni del momento. Decido all’ultimo minuto e spesso, una volta sul palco, cambio idea. È diverso ogni volta, dopo aver scritto tante canzoni ho un’ampia scelta. Spero andrà bene.

Suonerai anche delle cover? So che ti piace Coney Island baby di Lou Reed…

Qualche volta la suono, ancora non l’ho fatto in questo tour, magari la inserisco stasera, mi sembra una buona idea!

Hai formato i Dream Syndicate e hai suonato con loro dall’81 all’89, ci racconti di quel periodo?

La nostra era una scena molto underground. In quel periodo c’erano due mondi: da un lato trovavi Michael Jackson, Madonna, Dire Straits e dall’altro Dream Syndicate, R.E.M., Husker Dü. Erano due mondi opposti come il bianco e il nero o come la pasta e il burrito. Si trattava di una fase esaltante perché quello che oggi viene definito “indie rock” o “underground rock” è stato inventato allora. La musica come la conosciamo adesso, all’epoca era completamente nuova. Ci divertivamo molto e ho incontrato tante persone con cui sono tutt’ora amico.

Poi hai iniziato a suonare da solo, come mai hai lasciato i Dream Syndicate?

Era tempo di iniziare qualcosa di nuovo. Avevamo fatto quattro dischi insieme e tanti concerti. Dopo un bilancio abbiamo capito che non volevamo ripetere le stesse cose. Devo essere sempre entusiasta di quello che faccio, come se fosse la prima volta per tutto. Molte persone in tour suonano sempre le stesse canzoni e sono felici di farlo, io invece ho bisogno di sentirmi sorpreso. Se non è così mi annoio. Adoro i Dream Syndicate ma era arrivato il momento di cambiare.

Quindi hai iniziato a suonare con i Miracle 3…

Sì, ho fatto dischi da solo, ho suonato con i Miracle 3 e con tante altre band, come i Gutterball e i Baseball Project. E ora suono di nuovo con i Dream Syndicate: dopo tanti anni faremo un disco insieme e adesso torna ad essere emozionante. Tutti i gruppi con cui ho suonato è come se fossero un’unica band, la mia vita è come un cerchio in cui tutti sono presenti: ho suonato con Danny & Dusty, stavolta sono in tour da solo ma la prossima volta suonerò con la band.

Quali sono le tue collaborazioni preferite?

Io adoro lavorare e confrontarmi con altre persone, è sempre esaltante. Per esempio ho fatto un disco con Chris Eckman dei Walkabouts a Lubiana (Repubblica Slovena, ndt) ed è stato bellissimo. Lo stesso vale per Chris Cacavas. Amo collaborare, ma solo con persone che mi piacciono, la vita è troppo breve!

Ci sono delle canzoni a cui sei più legato per qualche motivo?

Mi piacciono tutte. Ad esempio “Tell me when it’s over” la suono da 33 anni e sono sempre felice di farlo, probabilmente la suonerò anche stasera ed è ancora bella come quando l’ho scritta. Ma sono fortunato ad averne scritte tante così se proprio sono stanco di una canzone ne scelgo un’altra.

Hai una tua definizione di Paisley Underground?

E’ un termine inventato dal cantante dei Three O’ Clock, è un bel nome. Non so, ovviamente siamo diversi – noi, i Rain Parade, The Bangles – ma avevamo tanti punti in comune, eravamo contro il mondo mainstream, distante dal nostro come un universo parallelo. Invece il nostro mondo era fatto di garage rock anni ’60 e di psichedelia, così ci ritrovammo e diventammo una famiglia. E’ stata una grande scena per un anno, poi ognuno ha trovato la propria strada.

Ora non hai un’etichetta sulla tua musica.

Adesso faccio il mio genere, la musica di Steve Wynn, ma siamo ancora tutti amici. Per esempio suonerò vicino Verona con Dan Stuart, ma non apparteniamo più a un unico movimento. Sono orgoglioso di quello che ho fatto, come di tutto quello che faccio, e quella fase appartiene solo a una piccola parte di tutto quello che rappresento.

I tuoi progetti futuri cosa prevedono?

Il nuovo disco con i Dream Syndicate, lo abbiamo appena terminato. E’ il primo dopo quasi trent’anni, abbiamo fatto tutto in pochissimo tempo. Racchiude il sound delle band che ci hanno preceduto e che ci hanno influenzato, ma anche il nostro sound e quello di chi ha subito la nostra influenza. A risentirlo, anche se non sono un bravo critico musicale, direi che c’è qualcosa degli Stooges, degli Yo la tengo, e di noi stessi che ci troviamo nel mezzo. È una lunga linea che ci unisce tutti. Quando incontro Ira Kaplan degli Yo la tengo parliamo la stessa lingua, perché amiamo i Velvet Underground, Bob Dylan… insomma mangiamo nello stesso piatto, creiamo diversi menu ma dagli stessi ingredienti. C’è musica buona e musica cattiva, io amo chi fa della buona musica.

Claudia D’Aliasi



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