IL CINEMA DELL’ECCESSO RACCONTATO DA RUDY SALVAGNINI

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IL CINEMA DELL’ECCESSO RACCONTATO DA RUDY SALVAGNINI

L’exploitation-cinema narrato attraverso le gesta di cineasti entrati nella leggenda grazie alla loro devozione verso la sacra triade dell’intrattenimento… “sesso, violenza e genialità”

Recensione ed intervista a cura Paolo Spagnuolo

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Il 29 febbraio è da sempre – per tradizioni ancestrali – una data legata a prospettive di sventura, quindi per sicurezza terrò le dita incrociate fino al 2017. Però non immaginate il piacere, l’immenso piacere che sto provando adesso (giorno 29 febbraio a.D. 2016) nello scrivere queste righe a poche ore dall’avvenuta consegna degli Oscar 2016. Non mi riferisco al piacere di sapere che finalmente le persone smetteranno di lamentarsi (e rompere le scatole) per Leonardo Di Caprio che, grazie a Dio, ha finalmente vinto una statuetta pelata. La mia gioia è legata all’uscita del secondo e attesissimo volume che il critico cinematografico e sceneggiatore di fumetti Rudy Salvagnini ha dedicato ai Maestri dell’exploitation: IL CINEMA DELL’ECCESSO – Horror, erotismo, azione e molto altro nei film dei maestri dell’exploitation – volume 2: Stati Uniti e resto del Mondo (2016, Crac Edizioni). Una pubblicazione licenziata mentre a Los Angeles Mad Max: Fury Road si becca sei pelati d’oro sull’attenti, meritandoli tutti!

Perché questo prologo?

Perché il film di George Miller è una pellicola figlia “del genere” e parente assai prossima dell’exploitation trattata da questa pubblicazione, tutto ciò alla faccia degli spettatori italiani che ancora denigrano l’intrattenimento puro.

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Per iniziare proviamo a comprendere il tema del libro ed un termine in particolare. Salvagnini nella premessa scrive: «Nel cinema, exploitation, da to exploit (sfruttare), vuole indicare lo sfruttamento; sfruttamento di un argomento, ma soprattutto sfruttamento degli istinti più basilari dello spettatore medio. Definisce quindi un genere trasversale che attraversa molti generi […] e li riunisce nel gusto per l’eccesso e la vellicazione sfrontata».

L’autore, così come avvenuto nel primo volume dedicato all’Europa (edito sempre dalla Crac nel 2015), esegue una cernita di quelli che sono stati tra i principali cineasti che si sono cimentati in questo “genere non genere” allargando la ricerca agli Stati Uniti e al resto del Mondo. Ne viene fuori un saggio di altissimo livello che, così come verrà sottolineato nell’intervista che segue questa breve recensione, apporterà motivi d’interesse e curiosità sia per gli esperti sia per coloro che vorranno ampliare le loro visioni esulando dal circuito mainstream. Per ogni regista, dopo una breve ed esaustiva introduzione biografica, viene ricostruita la carriera attraverso la disamina di tutte le pellicole girate. Sinossi, curiosità, locandine, note sugli attori e vicissitudini riguardanti la lavorazione di questi film che a volte (ripeto, non sempre) risultavano geniali, formano un unicum che traccia un quadro più che completo dell’argomento. Le interviste a Eddie Romero, Jack Hill e C. Davis Smith (direttore della fotografia della regista Doris Wishman) vanno poi ad aggiungere valore a quest’opera.

Grazie a questa lettura (ri)scoprirete quanto è incredibile l’exploitation. Ne volete un esempio? Dal capitolo dedicato a Jack Hill: «The Switchblade Sisters (titolo italiano Rabbiosamente femmine, film del 1975 n.d.r.) è unico, un febbrile insieme che mescola organicamente gang giovanili, women in prison, band rivoluzionarie urbane, Shakespeare e Mao, sesso e politica, attrazioni lesbiche e tensioni sociali. Mai un film aveva affrontato tutto questo in una volta sola…». Vi assicuro che questo è solo un piccolo assaggio.

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Entrando più nello specifico ho trovato di grande interesse il capitolo III dedicato alla strana coppia dell’exploitation: Michael e Roberta Findlay. L’assurdo epilogo della coppia (e non intendo il divorzio), quasi come se a sancirne la fine ci avesse pensato uno sceneggiatore di horror, è solo una delle tante curiosità riportate in questa sezione; personalmente questo capitolo è risultato il più stimolante e su cui presto proverò a colmare con qualche visione mirata alcune mie lacune… peccaminose. Ottime le pagine dedicate al cinema filippino (Eddie Romero è un mio vecchio pallino) di cui vi consiglio di recuperare tutti suoi lavori più weird (leggendo il libro capirete subito quali sono) e, infine, giusto perché sono appassionato di maschere vi segnalo le pagine dedicate al re del cinema pop messicano: il cubano René Cardona, colui che grazie ai suoi lottatori mascherati di wrestling ha inaugurato un genere importantissimo per il Messico e non solo.

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Per tutti coloro che volessero scoprire con quale regista exploitativo ha lavorato Yoko Ono (la “simpatica” moglie di John Lennon, proprio lei) vi consiglio di vistare il sito ufficiale del volume nel blog della Crac Edizioni… per acquistarlo e svelare il mistero (cliccando qui). Inoltre, già che ci siete e se vi fidate di me, date uno sguardo all’intero catalogo. La Crac Edizioni non si occupa solo di cinema ma anche di musica e di cultura “pop” in generale grazie ad un direttore editoriale, Marco Refe, molto attento e sensibile a certi temi “alternativi”.

Quello che segue è il risultato di una breve chiacchierata con l’autore che ci illustra più nel dettaglio il suo lavoro (esposto da me solo sommariamente ) e ci consegna qualche “insano” suggerimento pratico su come approcciare questo tipo di cinema.

INTERVISTA A RUDY SALVAGNINI

Raccontaci la genesi e in che modo hai sviluppato i due volumi.

All’inizio c’è stata la serie di articoli che annualmente dedicavo ai registi di exploitation per la rivista Segnocinema. La serie si chiamava Kings of exploitation e cominciò nel 2000 con un articolo su Jesus Franco per finire nel 2010 con un articolo su Nam Nai Choi. A un certo punto ho pensato che potesse essere una buona idea ripensare l’insieme e organizzarlo in forma di libro, rivedendo e ampliando i singoli articoli e aggiungendo alcuni registi che non erano stati presi in esame. La Crac Edizioni si è mostrata interessata e quindi il progetto ha preso corpo. Inizialmente doveva essere un solo, monumentale libro. Poi più saggiamente la cosa è stata divisa in due, con criteri geografici.

Da dove nasce la tua passione per l’exploitation?

L’exploitation mi ha sempre affascinato perché è un genere trasversale che attraversa vari generi e nasce con caratteristiche volutamente “basse”, ma spesso nasconde al suo interno delle vere gemme. E la scelta di un approccio attraverso l’esame dei registi, invece che dell’exploitation in sé, nasce proprio dal desiderio di identificare delle figure meritevoli che hanno saputo, nelle mille difficoltà del lavorare in un cinema che più commerciale non potrebbe essere, ricavarsi gli spazi per creare dei film brillanti e innovativi pur consegnando al produttore ciò che il produttore aveva chiesto e cioè film, appunto, commerciali. Sesso, violenza e genialità: non in tutta l’exploitation c’è la genialità, ma quando c’è è prorompente e molto particolare.

Personalmente, nella mia doppia veste di studioso e appassionato di cinema, mi piace evidenziare che i tuoi ultimi libri saranno certamente in grado di accendere l’interesse degli “addetti ai lavori” e – nel contempo – insinuare una forte curiosità tra i “neofiti”. Era questo uno dei tuoi obiettivi durante la loro redazione?

Sì. Volevo creare interesse – anche in chi non lo conosceva ed era desideroso di affrontare un viaggio nell’insolito – verso un cinema unico: talvolta selvaggio, spesso stimolante, comunque diverso. Volevo dedicare a registi spesso sottovalutati e trascurati la stessa attenzione critica che si dedica ai più celebrati, senza dismettere i loro film come “robetta”. Ma anche senza andare nella direzione opposta dell’incensamento eccessivo spesso riservato ai cosiddetti cult movies. Analizzando quindi senza pregiudizi la carriera di autori che spesso sono stati capaci di creare dal nulla opere di assoluto rilievo e che – e questo un po’ fa pensare – sono spesso stati intrappolati nei limiti dell’exploitation anche quando avrebbero voluto uscirne.

Nel panorama cinematografico odierno c’è qualcosa che si può – anche solo alla lontana – paragonare al cinema exploitativo di cui hai scritto ne Il cinema dell’eccesso?

L’exploitation esiste ancora, sotto forme diverse o anche sotto forme analoghe (basta pensare, per fare solo un esempio al remake di I Spit on Your Grave e ai suoi seguiti). Quelli che forse non ci sono più sono i registi di exploitation capaci di trascendere il genere e di arrivare alle vette di innovazione e di genialità di cui erano stati capaci quelli – o alcuni di quelli – di cui ho scritto nei due volumi. Ma tutto può sempre cambiare e, se vogliamo, anche Miike Takashi, per fare solo un esempio, a volte fa exploitation ed è di sicuro un genio.

In questo secondo volume dedicato agli U.S.A. e alle nazioni extra europee – così come nel primo dedicato all’Europa – racconti le gesta di cineasti che nel loro piccolo sono stati grandi; non è un caso che oggi meritano testi come quelli scritti da te, oltre che gli apprezzamenti e i tributi di molti (noti e meno noti) che li hanno riscoperti, apprezzati e copiati con decenni di ritardo. Potresti indicare il/la regista incluso in questo libro che hai apprezzato di più durante la tua opera d’approfondimento?

Tutti i registi di cui ho scritto mi hanno colpito e interessato, ma certamente ci sono delle differenze qualitative. Ai primi due posti del mio ideale podio metto senz’altro Jack Hill e Teruo Ishii. Jack Hill è stato un regista straordinario per capacità narrativa, innovazione visuale e personalità. Sono sorpreso che non sia finito stabilmente nella serie A hollywoodiana. Un po’ è dipeso anche da lui, ma avrebbe meritato una carriera migliore. Quando sono entrato in contatto con lui anni fa per intervistarlo (l’intervista è nel volume), ho avuto la sensazione di una persona ancora assolutamente creativa e vitale, vivace e autoironica, desiderosa di fare un ritorno in grande stile. E che ciò non sia ancora avvenuto è un peccato. Talvolta penso che questi registi che vengono così spesso citati e imitati dai loro colleghi dovrebbero anche essere tenuti presente in senso concreto dalle case produttrici.

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Teruo Ishii è uno dei grandi registi sottovalutati del cinema giapponese. Certo, questa cinematografia ha espresso degli assoluti maestri come Ozu e Kurosawa, ma, a debita distanza, Teruo Ishii avrebbe meritato maggiore considerazione. Regista di abilità sorprendente è stato in grado di affrontare qualsiasi ambientazione e qualsiasi genere portando sempre in evidenza la sua inconfondibile cifra autoriale. Per il terzo posto c’è una bella lotta, ma alla fine – dato che Moctezuma ha fatto troppo pochi film e questo lo mette un po’ fuori gara – ci metterei Nam Nai Choi, esuberante esponente della stagione più bizzarra ed eccessiva del cinema di Hong Kong.

Qual è stato quello più saccheggiato e influente di questi ultimi anni?

Direi senz’altro Jack Hill, se si pensa a quanto del cinema di Quentin Tarantino è stato influenzato da lui.

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Immagino che per ragioni di spazio nel vol. 2 (specie nella sezione dedicata agli U.S.A.) tu abbia dovuto lasciar fuori qualche nome. Mi piacerebbe sapere quali registi meritavano di essere inclusi?

Nomi interessanti non mancano. Te ne butto lì alcuni: Russ Meyer, Koji Wakamatsu (che non è visto come regista di exploitation, ma in effetti, per molti aspetti, lo è), Stuart Gordon, Frank Henenlotter, Ulli Lommel, Herman Yau, Herschell Gordon Lewis (un po’ carente, a mio avviso, sotto il profilo della genialità, ma fondamentale nell’evoluzione dell’horror). In effetti, ci sarebbe materiale per un terzo volume (che per il momento non è in programma, niente paura). Ma comunque la scelta che ho fatto con questi due volumi è stata molto ragionata.

Daresti una mano a chi non è abituato certe visioni? Puoi indicare qualche pellicola propedeutica alla lettura de Il cinema dell’eccesso. E come “opera bonus” almeno un film di genere o d’exploitation italiano.

Propedeutico dovrebbe probabilmente essere qualcosa di soft che consenta di avvicinarsi per gradi all’argomento, ma tutto sommato preferisco indicare alcuni degli esempi migliori o comunque più significativi, per capire immediatamente di cosa si tratta. Perciò, consiglierei Spider Baby di Jack Hill, Alucarda di Juan Lopez Moctezuma, Horrors of Malformed Men di Teruo Ishii e Story of Ricky di Nam Nai Choi o anche, per citare un film di exploitation recente pur se fatto da un autore “storico”, Encarnação do demonio di José Mojica Marins. Sono tutti film bizzarri e particolari, ma proprio per questo rappresentativi. Parlando di exploitation italiana, invece, e tacendo il fatto che ci sarebbe materiale per fare almeno un volume intero solo su quella, mi sento irresistibilmente spinto a indicare Il boia scarlatto di Massimo Pupillo (non c’è in questi volumi, ma ne ho scritto sul Dizionario dei film horror), non perché sia il miglior film di exploitation italiano, ma perché è troppo curioso per non essere visto. E a questo punto consiglierei di vederlo in doppio programma con il recente Bloody Sin di Domiziano Cristopharo, che ne è in parte un omaggio pur avendo caratteristiche autonome. Tra parentesi, Cristopharo – che solo di rado fa exploitation – è un regista interessante nel nuovo panorama del cinema indipendente italiano.

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Recensione ed intervista a cura Paolo Spagnuolo

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