Le due facce di Matt Elliott

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If You Treat Us All Like Terrorists We Will Become Terrorists

Un debutto rumoroso con i Third Eye Foundation, tra post-industrial e jungle, tra elettronica oscura e distorsioni, per poi cambiare rotta e virare verso un dark folk fatto di intimismo e arpeggi derivati da classicismi e scale arabe.
In principio era SEMTEX: drum and bass e glitchtronica mischiati con atmosfere cupe, voci reversed, armonie spezzate. The Mess We Made, primo disco solista, risente ancora – in parte – delle ritmiche febbrili dei 3EF, ma a rivoluzionare tutto arriva la trilogia Drinking- Failing- Howling Songs, che infittisce progressivamente la sua trama compositiva con inquietudini e drammaticità, tradotti in un fingerpicking dal carattere fortemente mediterraneo e una voce profonda e dinamica. Processo che si completa con The Broken Man, disco che contiene la preziosa ballata “Dust, Flesh And Bones”.

Matt ElliottQuello che oggi si può dire del cantautorato di Matt Elliott è che è una architettura complessa, un costruire monumenti densi di passione, di ricerca, di presente. Il suo spleen è rarefatto, decadente, spettrale, parte da un incedere lento per poi esplodere, all’apice del climax, con la forza di un uragano, con la loop station che amplifica la sua potenza, trasformando tutti i suoi elementi acustici in una vera e propria orchestra invisibile.

L’ultimo disco Only Myocardial Infarction Can Break Your Heart (2013, Ici D’Ailleurs) lascia spazio a un romanticismo più luminoso, così inebriante da diventare puro incanto. L’album si apre con “The Right to Cry”, ed è così che inizia anche il suo concerto al Godot, lo scorso 24 novembre. “Zugzwang”, “Also Ran” e tanti altri brani, senza tralasciare la sua versione di “Misirlou” e l’immancabile “Il Galeone”, canto anarchico che Belgrado Pedrini scrisse in prigione nel 1967. Una scelta, quest’ultima, per nulla casuale: per il musicista di Bristol cantare non è un semplice ripiegarsi su se stesso ma è anche un atto rivoluzionario attraverso il quale la bellezza libera dall’angoscia di una vita dominata dai processi di globalizzazione economica e di spersonalizzazione dell’individuo. Pensate che un suo pezzo si intitola “All of our Leaders are Sociopathic Monsters Who should be Locked Away” e credo che non ci sia molto altro da aggiungere.

Il tour conferma la sua volontà di non spezzare la continuità della sua evoluzione, ma anzi esplicita la sua necessità di recuperare il passato. Perciò torniamo all’inizio, a SEMTEX, in procinto di essere ristampato. La prima parte del live si interrompe per dare spazio proprio al disco che ha dato inizio alla sua carriera ormai quasi vent’anni fa. Jungle breakbeats decisamente low-fi ci mostrano un Matt Eliott diverso da come avevamo imparato a conoscerlo negli ultimi anni. La chitarra diventa un accessorio secondario per dar spazio al passato futuristico che dagli anni ’90 ci trasporta in un “qui/altrove”.

articolo: Claudia D’Aliasi
foto e video: Alessandro Farese

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