The day that John Kennedy died

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L’ultima notte a Fort Worth, l’ultimo avamposto della civiltà.

KennedyL’albergo dove alloggia il Presidente è l’Hotel Texas. Una grande scritta luminosa a caratteri intermittenti recita “Qui comincia l’Occidente”. John Fitzgerald Kennedy s’addormenta la notte del 21 novembre 1963 pensando ai progetti da portare a termine, ai figli che crescono, al discorso dell’indomani a Dallas. Come i suoi predecessori, Kennedy è un padre che prende tra le braccia la Nazione per raccontare un passato che non è mai andato via e un futuro che è già qui. Come mostra Spielberg in Lincoln, del resto: il tempo dei poveri mortali è scandito dai piccoli traffici, dai ritmi martellanti della domanda e dell’offerta, dalle battaglie, ma la vita trattiene il fiato e rallenta quando il Presidente racconta. E’ la voce del padre che vogliamo ascoltare prima di addormentarci, quasi a scacciare i demoni che ci perseguitano. Aneddoti semplici, granitiche verità. La tradizione orale del mito. Il giorno dopo, ai piedi del grattacielo di H.L. Hunt , potente petroliere, archetipo di J.R., muore l’ultimo aedo. Fort Worth non vedrà mai l’Occidente ma solo la sua apocalisse. Muore J.F.K., a raccontare le favole ci penserà la Disney e la musica pop.

BeatlesSolo qualche settimana dopo che il colpo era stato sparato, sono arrivati i Beatles, esplosi in tutta l’America tramite il palco dell’Ed Sullivan’s Show e svariate case discografiche…un sospiro di sollievo per il loro fascino sfrontato” scrive Lester Bangs qualche anno più tardi. Se la rivoluzione è tagliare la testa ai padri, la società dei consumi confeziona canzoni di facile assunzione per divertire, intrattenere, non pensare. Non c’è più posto per Dio, né per il Re di Memphis, né tanto meno per i Presidenti: non si ascoltano le voci dei padri, ma solo del mainstream. E’ una società edipica che va a definirsi: zoppica, è schiava di un peccato originale, di se stessa, commette errori anche inconsapevolmente, eppure va avanti. Quel proiettile sparato a Dallas sembra essersi perso, anche se ha cambiato i calendari di una nazione.
Dead KennedysLo raccolgono i Dead Kennedys alla fine degli anni settanta. Una combinazione perfetta tra il punk britannico, ironia e attacco a tutto il sistema economico e politico statunitense. “Il mio cazzo è abbastanza grande e il mio cervello è abbastanza piccolo affinché tu mi faccia diventare una star?”. L’attacco alle case discografiche
è sferrato il 25 marzo del 1980 sul palco del Bay Area Music Award.

Pull my strings non è solo il frutto della schizofrenia che regna nella mente di Carlos Cadona, chitarrista della band; è l’urlo di rivolta degli orfani arrabbiati, è un urlo che rivendica il diritto di descriversi e di riconoscersi in una musica lontana dal lattice rigonfio di Mike Jagger. E’ la conchiglia del Signore delle Mosche a suonare.

Rivogliamo i nostri padri.

Guardo quest’uomo camminare. Un John Wayne zoppo. Una vena varicosa, un’anca malandata e sessanta anni di orgoglio ferito sulle spalle. Avanza senza un fiato. Il patrimonio genetico non è una lotteria impazzita. Dove sono i geni ereditati dai predecessori? Eppure la fierezza dell’andare avanti è dono innato nel patriarca.

E anche questa è Storia che va raccontata.

 

Bianca Fenizia

Licenza Creative Commons

Quest’opera di Radio Cometa Rossa è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.

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