Cinaski: non sembra neanche dicembre

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Cinaski…”La caccia ai lupi. La caccia!
Ai predoni grigi, vecchi e ai cuccioli.
I bracconieri urlano e i cani latrano fino alla nausea.
Sangue sulla neve e macchie rosse delle bandierine.

Ho rifiutato di ubbidire,
Ho oltrepassato le bandierine – la sete di vita è più forte!
Ho solo sentito dietro di me, con gioia,
Le grida di stupore degli uomini.

Sono stremato, ho i tendini a pezzi,
Ma oggi, non sono come ieri!
Sono braccato. Braccato!
E i cacciatori sono rimasti a mani vuote!”…

Questi versi non sono casuali: oltre ad essere metafora della guerra come tradizionalmente la conosciamo, rappresentano la difficoltà di chi vuole varcare i limiti imposti dalla massa che ci vuole tutti uguali, e quindi una nuova guerra combattuta da pochi, per esempio, con la penna. “La caccia ai lupi” di Vladimir Vysotsky compone, insieme con “Il vino” di Piero Ciampi, “La città vecchia” di De André e tanto altro, un puzzle al centro del quale troviamo prose e poesie di un unico autore che sceglie di interpretarle davanti ad un pubblico fitto e silenzioso di appassionati e anche di curiosi.
1479005_695918230433433_766634330_nNon sembra neanche dicembre” oltre ad essere il libretto-taccuino di Vincenzo Costantino Cinaski (Round Midnight Edizioni, 2013) è anche il titolo del reading di Natale meno conforme alla tradizione mielosa che tanto conosciamo. Il Natale è un misto di ricordi collettivi, fatti di odori, di luci… e anche di finto buonismo. “La cattiveria è sempre sincera, perché non si può fingere di essere cattivi”, e se lo si è a Natale la sincerità diventa forse il regalo più autentico. Da non fraintendere: è solo un invito ad essere se stessi, non a tramutarsi in Grinch!
E’ il 15 dicembre e mentre Cinaski legge le sue opere al Godot, con voce magnetica, accompagnato da Mell Morcone al piano, mi sembra davvero di assistere ad un film, un insieme di racconti di Natale “politicamente ed emozionalmente scorretti” che non hanno nulla a che fare con “A Christmas Carol” di Dickens, in una Milano che è un po’ Brooklin. Con “Il tram ha gli occhi tristi” mi torna in mente “Smoke” e l’atmosfera del racconto di Natale di Auggie Wren di Paul Auster, ma anche il take it easy way de “Il grande Lebowski”, citato nel racconto stesso; con “Vieni via con me” mi sembra di vedere i personaggi de “La leggenda del re Pescatore” di Terry Gilliam o di tuffarmi nei vicoli ritratti in “Barfly” girato da Barbet Schroeder ma scritto da Bukowski. E il mitico Charles è proprio la causa e l’inizio di tutto. Se non fosse stato per il culo della Muti in “Storie di ordinaria follia” diretto da Marco Ferreri nel lontano ’81 “Enzo” Cinaski non si chiamerebbe neppure Cinaski. La sua è una letteratura fatta di fotogrammi cinematografici e soprattutto di musica: le note di piano, magari in un’impro jazz, non trovano nessun ostacolo nell’unirsi alle sue parole, come se fossero un tutt’uno inscindibile. Enzo lo sa bene, ed è per questo che l’anno scorso ha inciso un disco, con l’aiuto di Francesco Arcuri e Taketo Gohara: Smoke, parole senza filtro (Gibilterra, 2012). Musica e poesia sono “due stanze dello stesso appartamento” e nella recitazione trovano la loro dimensione perfetta. “Vincenzo quando recita i suoi scritti è una mareggiata che si infrange sugli scogli – scrive Domenico Cosentino, editore Round Midnight, nella prefazione di “Non sembra neanche dicembre” – il mare bianco di spuma, come la saliva dei cani rabbiosi”. I suoi personaggi sono “sfaccendati romantici”, dei losers senza “(D)io”, mischiati in mezzo a tanti altri come loro, disperati ma con un carico non indifferente di ironia, l’ultima chiave di lettura possibile di questo mondo.

“Bardo… viviamo in un paese di geni, che non realizzeranno mai nessun desiderio, ma continueranno a farsi la lampada”.

C.D.

Cinaski – Intervista

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