8/7/2013 – Roma, Auditorium Parco della Musica.
Concerto all’aperto dopo una giornata di temporali e black-out, dopo un sound-check al volo su un palco-pozzanghera. A volte il destino sembra accanirsi.
Cavea gremita, nell’aria umidità e impazienza.
Preceduta dai membri della band, una luce di sigaretta nell’oscurità di un palco infinitamente grande, entra Chan. Passi piccoli e andatura caracollante, inizia a disegnare la sua spirale sulle note di una “The Greatest” dilatata allo spasimo: una voce straziante che ti passa da parte a parte, un lento incalzare fino all’esplosione del primo applauso.
E’ tutto vero. Nonostante tutto, ancora una volta, Chan ce l’ha fatta. Non si è arresa e non si arrende. Sul giubbotto le sue iniziali (cp) fuse a disegnare un’ascia stilizzata: simbolo di una vita di lotte.
La line-up di quattro musicisti (chitarra/tastiere, chitarra/percussioni, percussioni, basso) vuole assicurare “loudness”: si succedono brani tratti dall’ultimo album e Chan sembra acquistare fiducia.
O, probabilmente, siamo noi a farlo: il palco sembra meno smisurato, lei appare meno lontana.
Chan reinventa ogni pezzo, l’unica costante è la sua voce ora sussurrata, ora determinata, ora ruvida, ora limpida. Vera, come sempre.
Il primo sussulto arriva con una palpitante “King Rides By”: è la Cat Power che abbiamo nel cuore. Tempo per la lancinante lentezza di “Bully”, quindi la cavea piomba nel buio, lacerato da una straziante versione di “Angelitos Negros”, con la Marshall immersa in un fascio di luce radente. La rilettura dell’ultimo album riprende con “Always on My Own”, “3-6-9” e “Nothing but Time”: brani durante i quali cresce l’agitazione dell’artista, che, dopo vani tentativi con tecnici e musicisti, interrompe il concerto in lacrime, scusandosi per la cattiva qualità del suono.
“I’m here to fucking cook, not to give you rice”
Più che segnare lo spartiacque del concerto, l’episodio mette in luce la netta separazione tra i presenti, distinti tra chi apprezza l’artista anche e soprattutto nella sua umana fragilità, e chi invoca il rispetto del “contratto”.
Per i primi è il momento più significativo della serata: la conferma che Chan non ha tradito se stessa, né il “suo” pubblico, che il suo vissuto personale non l’ha portata al distacco dalle proprie emozioni, ma a una nuova consapevolezza.
Sono quelli che si stringeranno ai bordi del palco per convincerla a rientrare e a proseguire, in quello che rimarrà un concerto indimenticabile.
Non a caso, la ripresa avviene con una struggente interpretazione di “Metal Heart”, brano-chiave per l’artista, messaggio in codice per i fan (video). Momenti di estrema intensità: dopo “Shivers” e “Peace and Love”, la serata si conclude con un’interminabile versione di “Ruin”, colonna sonora del commiato dal suo pubblico, a cui regala fiori e magliette. Saluta e si allontana, visibilmente commossa .
A volte tutto sembra andare per il verso sbagliato. Salvo rendersi conto che le avversità non potevano offrire regia migliore per una serata di forti emozioni. Artista unica. We love you, Chan.
Vincenzo Moccia
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