35 anni di buio. Non sono nati troppo tardi per la greve e distorta litania dell’oscurità.
“Dicono che le mie canzoni sono troppo lente, ma non sanno le cose di cui sono a conoscenza…”
Di Paolo Spagnuolo
Quindici minuti dopo la mezzanotte, quando il chitarrista Dave Chandler principia la liturgia dei suoi Saint Vitus con il primo accordo di Living backwards, le note danno il via ad un viaggio a ritroso verso un’altra vita. Un’esistenza lenta, oppressiva, drogata e con in sottofondo – a far da colonna sonora ad una società malata – le note lente e inesorabili ispirate dai primi quattro album dei Black Sabbath. Chi conosce la band potrà pensare alla solita banalità nell’accostamento, ma è d’obbligo sottolineare che il sound dei quattro brutti ceffi di Los Angeles è inequivocabilmente un erede “adulterato” di quello dei maestri di Birmingham. I Saint Vitus sono gli unici veri eredi dei Black Sabbath oltre che nel suono anche e soprattutto nello spirito (un po’ più punk che metal). Probabilmente sarebbe ingiusto parlare di clonazione, si tratta verosimilmente solo di una ipnotica e perfida mesmerizzazione doom: mentre i Sabbath classici (con Ozzy) stavano “morendo” i S.V. iniziavano la loro avventura. A chiarire ancora di più la situazione c’è il moniker scelto prendendolo in prestito da una composizione proprio dei Sabbath, Saint Vitus dance. Sarà un caso? Non ci sono Candlemass o Count Raven che tengano (due varianti sabbattiane comunque davvero notevoli), i S.V. sono ben altra cosa.
All’INIT Club di Roma si è svolta una delle date europee che festeggiano i 35 anni di carriera della band americana che, per l’occasione, si fa accompagnare dagli stoner britannici Orange Goblin, dei veterani del genere. «…sono degli amici oltre che very special guest», come mi ha sottolineato il cantante Wino prima dello show. I londinesi suonano senza risparmiarsi per un’ora con un Ben Ward – il cantante – in un’ottima forma alcolica e dallo sguardo perennemente in bilico tra il divertito e il luciferino. Apertura perfetta! Il locale è stracolmo, l’atmosfera post Orange Goblin è quella delle grandi occasioni e carica di aspettative, i Saint Vitus non hanno mai suonato nella Capitale. Fa molto caldo. I paladini del doom e il pubblico sudano e ondeggiano lenti all’unisono. Tutti sanno che nel corso del concerto, per festeggiare come si deve, sarebbe stato eseguito per intero il formidabile Born too late (licenziato nel 1986 dalla SST record, la stessa casa discografica dei Black Flag!), il primo lavoro con alla voce il formidabile Scott “Wino” Weinrich (ex The Obsessed); ed anche in questa occasione Wino è riuscito a dimostrare, con una buona prestazione vocale, che la sua timbrica è assolutamente la più adatta allo stile della band rispetto a quella del predecessore Reagers (1978–1986, 1994–1996) o di Linderson (1991-1994).
Questa è la scaletta (in neretto le canzoni di Born too late eseguite in uno strano ordine, inverso rispetto al disco):
1.Living Backwards
2.I Bleed Black
3.War Is Our Destiny
4.Blessed Night
5.Let Them Fall
6.The Troll
7.White Stallions
8.The War Starter
9.The Lost Feeling
10.H.A.A.G.
11.Dying Inside
12.Clear Windowpane
13.Born Too Late
Inutile specificare che ad ogni brano del set (durato 75’) è scattato automaticamente un boato dal pubblico. La performance non è stata sempre perfetta, un paio di piccoli errori d’esecuzione si sono notati e sono, a mio avviso, totalmente giustificabili a causa di uno sfibrante tour europeo di trentasei date con soli due day-off. Ma in un contesto del genere, per importanza storica e suggestioni, queste sono assolutamente delle inezie. Poi, ovviamente, nessuno ha mai chiesto loro di essere… graziosi e puliti.
Dave Chandler durante la finale Born too late, come d’abitudine per un vecchio hippy come lui, conclude il brano portando i suoi tatuaggi e la sua chitarra nera tra il pubblico. Un vero mattatore con le sue smorfie e i suoi assoli acidi e “ultra fuzz”. A bilanciare l’invasato collega ci ha pensato il bassista Mark Adams, un altro dei fondatori della band, che è restato immobile per tutto il live. Finito il concerto, verso le due, Dave è ancora in giro a salutare divertito i fans, alcuni dei quali hanno affrontato trasferte di diverse centinaia di chilometri per vederli suonare.
Che vi piaccia o no i Saint Vitus sono tra le poche band del genere per cui i termini “cult” o “seminale” non sono esagerati.
E per non dire che sono perennemente e lisergicamente lenti ed ossessivi… un po’ del loro rock and roll…
BORN TOO LATE
Every time I’m on the street
People laugh and point at me
They talk about my length of hair
And the out of date clothes I wear
They say I look like the living dead
They say I can’t have much in my head
They say my songs are much too slow
But they don’t know the things I know
I know I don’t belong
And there’s nothing I can do
I was born too late
And I’ll never be like you
In my life things never change
To everybody I seem strange
But in my world now something’s died
So I just stare with these insane eyes
I know I don’t belong
And there’s nothing that I can do
I was born too lte
And I’ll never be like you
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