Al mio arrivo i musicisti sono alle prese col soundcheck; mi siedo al bancone e ordino una media chiara. Alla prima pausa una donna sulla trentina prega la cantante di salutare telefonicamente la figlia di otto anni: la bambina vuol sapere se beve il Martini con l’aspirina, come canta in Quanto eri bello, canzone che la piccola fan, dice il padre, ascolta parecchie volte al giorno.
È domenica 7 dicembre, sono a Campagna, al pub Zena, uno dei luoghi in provincia di Salerno che negli ultimi anni ha visto esibirsi numerose voci di rilievo del panorama indie nazionale; questa sera sul palcoscenico ci sarà Maria Antonietta, al secolo Letizia Cesarini, giovane (classe 1987) e brava cantautrice rock, al secondo album in italiano (Maria Antonietta, Picicca, 2012; Sassi, La Tempesta, 2014), dopo l’esordio in lingua inglese, Marie Antoinette wants to suck your young blood, autoprodotto col nome Marie Antoinette, a soli 23 anni.
Alla fine del soundcheck ingollo l’ultimo sorso di birra e chiedo a Letizia se vuole rilasciarmi un’intervista. Con espressione desolata e un filo di voce, rauca e affaticata, che a malapena mi permette di distinguere le parole, mi dice con evidente sforzo che devo scusarla, ma non se la sente. Penso che sia impossibile riuscire a sostenere un concerto in quelle condizioni, ma lo taccio; quindi senza neanche insistere le propongo di inviarle delle domande via mail. È giusto che preservi le corde vocali: Tra me e tutte le cose tour la vedrà impegnata ancora in numerose date, e l’attendono molti chilometri da percorrere con la nuova formazione, composta da Giovanni Imparato e Fabio Marconi dei Chewingum. Le auguro buon concerto, poi prendo un’altra birra ed esco a fumare.
Fuori dal locale ci sono un paio di crocchi. Mi accomodo su una panchina sotto il gazebo; nel tempo di due sigarette, sorseggio la bionda e osservo i gruppetti di due, tre o quattro persone arrivare dalle varie entrate della piazza. Il concerto non avrà inizio per adesso, l’attesa è però facilitata dalla situazione conviviale che si crea fuori dal locale; dentro, i tavoli sono occupati per la cena. Passano un paio d’ore, poi lo spazio antistante il palchetto è sgombrato: il locale è pieno, è tutto pronto, il concerto ha inizio.
La band apre con Tu sei la verità non io, dal primo album Maria Antonietta, in una versione dagli echi vagamente country. Mi sbalordisce che la voce, dal momento in cui imbraccia la chitarra e saluta e ringrazia i presenti, si manifesta incredibilmente solida e possente; sono contento che le mie previsioni siano state smentite.
Il gruppo scalda i motori, che si mostrano subito ben rodati, con tre pezzi dal nuovo album, Sassi: Ombra, Galassie e una Santa Caterina dai tratti dance. La band è al top della forma quando si esibisce in una elettrizzata Animali, singolo che aveva anticipato l’album. Se l’entusiasmo del pubblico si manifesta in applausi e telefonini che riprendono, il risultato è notevole quando si passa alle atmosfere cupe dell’acustica Diavolo e dell’irriverente e disillusa Ossa, seguite, con un nuovo salto nel primo album, dalla splendida Saliva, che si apre malinconica per chiudersi rabbiosa, e dall’incazzata Questa è la mia festa, tra le ovazioni del pubblico danzante, oramai scatenato. Il ritmo è incalzante, sono poche le ragazze che non cantano a squarciagola “Io non mento al limite sto zitta” sulle note di Giardino comunale, o accompagnano le parole della allucinata Abbracci. La potenza scenica di Maria Antonietta esplode con Alla felicità e ai locali punk, in una esibizione che fa riecheggiare nella mia mente l’immagine di una novella Nada.
La scaletta di chiusura prevede Molto presto e Tra me e tutte le cose, ma il pubblico non ci sta ad “andare in pace” e reclama bis e tris; la più ostinata è una ragazza bionda in prima fila. L’avevo notata in occasione di altri concerti in provincia: è sua pratica usuale, a quanto pare, affrontare a muso duro il cantante di turno e reclamare che la musica non finisca; una volta, se memoria non inganna era il concerto degli Shak & Speares alla rassegna Diluvio Universal, era salita sul palco, con un paio di sue agguerrite amichette, a fare da coro al gruppo; mi appunto sul taccuino “ragazza del bis” per non dimenticare questa nota di folklore.
La serata sfuma tra note e parole di Maria Maddalena, seguita da una versione ballad di Quanto eri bello e dalla cover di Fotoromanza, nel tripudio del pubblico, soprattutto femminile, che grida a tutta voce; i livelli di alcol e adrenalina in sala sono alti. Il concerto si chiude con l’esecuzione del bis di Giardino comunale; Maria Antonietta è scesa dal palchetto e canta tra le braccia festose di chi l’acclama con sconfinata allegria. La festa infatti, dentro e fuori lo Zena, non sembra destinata a finire: dentro c’è chi continua a bere, chi smonta strumenti e attrezzature, ma i più sono in fila per un autografo o una fotografia; fuori invece è tutta un’euforia di incontri, risate, chiacchiere e scherzi, con le diverse comitive che si mescolano condividendo impressioni, discorsi e simpatia. Fino a tardi, fino a quando a poco a poco la popolazione notturna si dirada e resta solo chi ama tirar mattina e chi vi è costretto per dovere. L’atmosfera è resa ancor più suggestiva quando a rimanere sono in pochi, gli irriducibili, tra cui i due musicisti, Fabio e Giovanni, e i discorsi sono accompagnati dal mormorio di sottofondo del fiume Tenza: si parla di musica e letteratura, di città e luoghi, di Parigi, di Roma, dei problemi delle case editrici e discografiche, di politica e attualità, mafia capitale, romanzi criminali ed eversione nera, della drammatica situazione internazionale e di altri discorsi.
Sono le quattro passate, l’umidità fa tremare dal freddo; è stata una bella serata, come altre mi auguro di trovare nei mesi che mi attendono in questo mio soggiorno salernitano. Nel momento dei saluti e dello scambio di contatti, Fabio vuole regalarmi il cd dei Chewingum, che è dentro; così l’accompagno. Troviamo Letizia sul divano, accarezza un cagnolino; è esausta, ma rilassata e felice. Le dico che domani le invio le domande per l’intervista e che aspetto le sue risposte. Dopo un paio di giorni le trovo sulla mia casella email. Voi le trovate qui di seguito. Buona lettura.
Chi è Maria Antonietta e chi è Letizia? In Maria Antonietta maggiormente, ma anche in Sassi, la ricerca dell’identità è una tematica che ritorna spesso. Quanto è stata faticosa la tua?
Letizia è una ragazza molto sincera che scrive canzoni e lo fa cercando di essere il più possibile trasparente. La ricerca della propria identità, il processo di formazione di un essere umano e soprattutto la conquista della consapevolezza della propria identità e di come veicolarla è una grande sfida, per tutti gli uomini, non solo per me. Diciamo che col tempo ho conquistato una certa consapevolezza di me stessa, di chi sono, di cosa voglio dire e di cosa non voglio dire. Forse è questo diventare adulti.
Quando hai deciso di prendere la chitarra in mano e di imparare a suonare? Quali album o canzoni ti hanno maggiormente segnato e in quali età della vita?
Ho cominciato a scrivere canzoni quando ero piccola, più o meno a 17 anni. Ho imparato a suonare e cantare da sola e infatti lo faccio ancora piuttosto malamente, ma quello che mi interessa è comunicare… il resto è importante ma non fondamentale. Ho una visione abbastanza etica della scrittura. Quando ero adolescente i gruppi femminili punk dei primi 90 come Sleater-Kinney, Hole, Bikini Kill, Babes in Toyland sono stati fondamentali. Erano donne che si esprimevano con molta libertà e in maniera talvolta anche piuttosto cruda e senza alcun tipo di filtro edulcorato. Mi ispirava, mi piaceva. Mi piace ancora quell’attitudine.
Quando scrivi nascono prima le parole o la musica? Come e quando componi? Credi all’ispirazione?
Scrivo prima le parole. Scrivo quando sento che ho qualcosa da dire. Scrivo molto poco, solo se è strettamente necessario per la mia salute mentale.
Cosa ti fa incazzare?
La falsità.
Citi spesso donne celebri e importanti: dalla Maria Antonietta del nome d’arte a Maria Maddalena, passando per Giovanna D’Arco e Sylvia Plath. Chi dimentico?
Direi che il concetto fondamentale è che le donne forti e volitive che hanno agito nelle proprie vite con determinazione e coraggio sono per me un grande esempio e fonte di forza e fede.
La Bibbia, Dio, la religione tornano spesso nei tuoi testi. Hai fede? Che rapporto hai con la fede, con Dio e con la religione?
Dio entra nei miei testi come entra nelle vite di tutti gli umani. Con Dio ho un buon rapporto, parliamo spesso.
Leggenda vuole che tanti anni fa, sul muro di un bagno di New Orleans fu trovata la scritta: Dio è amore. L’amore è cieco. Ray Charles è cieco. Ray Charles è Dio. Abbiamo parlato di Dio, di musica ed eccoci all’amore. Molti dei tuoi testi sono intrisi di un senso ineluttabile di perdita, oltre che di una ricerca dell’amore esasperata, a volte quasi disperata, sempre velata di disillusione: non è un po’ anacronistico per i tempi che viviamo?
L’amore è l’unico motore vero e primo dell’Universo. Quando l’amore o il bisogno di amore cesseranno di essere un tema di riflessione vitale significherà che la specie umana sarà estinta e l’Universo sarà collassato.
Restiamo in tema: bella, brava e intelligente. Dalle tue canzoni sembra che ci hai messo un po’ a calibrare il rapporto con queste tue qualità. Come hai vissuto (e vivi) questo dramma?
Non è sempre facile mantenere una fiducia consapevole nelle proprie capacità di persona. Questa grande competitività che ammorba il mondo e vorrebbe spingerti a sgomitare e a dimostrare a tutti i costi non mi piace. In passato mi spaventava e mi faceva sentire inadeguata. Ora continuo a sentirmi inadeguata ma ho trovato il mio posto nell’Universo e sono molto felice. Essere inadeguati non significa essere infelici.
Sicura che l’amore non sia soltanto una scusa per scrivere canzoni?
L’amore è la forza per cui continui a respirare, se vuoi smettere smetti pure! Io vorrei continuare a farlo!
Quali sono i tuoi musicisti italiani contemporanei preferiti? Fuori i nomi di due gruppi, due uomini e due donne che consigli di ascoltare ai lettori di Radio Cometa Rossa.
Mi piacciono i Dadamatto e i Chewingum e il cantauore Lorenzo Pizzorno. Di donne ne basta una che vale per mille, Carmen Consoli.
di Gianluca Liguori
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