E’ mercoledì 22 Ottobre e per la sua unica tappa italiana il cantautore bostoniano Saul Conrad sceglie Avellino e il Godot Art Bistrot.
I suoi dischi, in ordine di uscita, sono: Poison Packets, the Fancy LP (da cui è tratta “Fever”) e A Tyrant and Lamb, affascinanti nel loro essere discordanti rispetto a tutto ciò che ci circonda, sorprendenti rispetto a ciò che ci si aspetta… in poche parole incatalogabili. Tra i suoi musicisti preferiti ci sono Alexander Skip Spence, Blaze Foley e Bob Frank.
Conrad, in modo molto personale, si interroga su “echi di mondi crudeli” soprattutto riguardanti l’età infantile, i suoi sogni e incubi. “If you love someone, kill their family in their mind, and set them free”.
E’ timidamente impacciato, il suo viso è nascosto da un cespuglio di capelli e barba riccissimi. Non teme le imprecisioni, è se stesso e basta. Le sue storie raccontano una vita ricca di emozioni e di avvenimenti, spesso spiacevoli. Intona una canzone su un coinquilino non convenzionale, un’altra sulla rabbia nei confronti di una ragazza che lo ha deluso (“in realtà inconsciamente qui svelo qualcosa sul rapporto con mio padre”, ci dice), e per spezzare l’atmosfera appesantita dai temi seri e dolorosi racconta anche una barzelletta.

A fine serata, poi, quando ormai il locale si è svuotato, è il suo amico Kevin Haugh a esibirsi spontaneamente per un concerto a sorpresa, fra pochi intimi. Folk-bluesman ultrasessantenne è autore di Staight In, un disco che è una perla rara. Veterano del Vietnam, diventa chitarrista autodidatta in prigione, negli anni ’90, rinchiuso in quanto rapinatore di banche.
Entrambi i musicisti sono prodotti dalla Mountain of Leopards, etichetta indipendente il cui scopo è quello di scoprire artisti per nulla scontati, “voices and playing styles that are deeply expressive and completely original”.

Articolo di C.D.
Foto e video di Al. Farese

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