Road to Flussi: Phill Niblock & Katherine Liberovskaya / Utku Tavil & Mario Gabola.

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FLUSSI, in collaborazione con “La Bella Estate” ed “Euro Mediterranean Arts”, ci ha regalato un’anteprima del Media Arts Festival che ogni anno richiama persone da tutta la nazione e oltre. Dal 25 al 31 agosto 2014, nel centro storico di Avellino, Flussi darà il via alla sua VI edizione, sette giorni di performance live, installazioni, workshop, screenings, talks incontri con artisti come Christian Fennesz + Lillevan \ Clock DVA \ Demdike Stare \ B/B/S \ Cellule d’Intervention Metamkine \ Laurel Halo \ Rashad Becker \ Roly Porter \ TM404 \ Sculpture \ Lumisokea \ Thomas Ankersmit \ Valerio Tricoli \ Mai Mai Mai \ Nicola Ratti \ Plapla Pinky \ Shelley Parker \ France Jobin \ Lionel Marchetti + Yuko Higashi \ Olivier Di Placido + Jasem Hindi \ Renato Rinaldi \ Strotter Inst. \ e altri…

Phill NiblockL’anteprima Road to Flussi #1, sulla terrazza del teatro Gesualdo lo scorso 6 luglio, ha visto la partecipazione di Phill Niblock & Katherine Liberovskaya e Utku Tavil & Mario Gabola.
Phill Niblock è una delle personalità artistiche più influenti degli ultimi 50 anni per quanto riguarda la scena elettronica internazionale, ha 81 anni e vive a New York, dove dirige l’istituto Experimental Intermedia e organizza concerti nel suo loft. E’ accompagnato dalla video artist Katherine Liberovskaya che ha mixato dal vivo, improvvisando, suoi film e clips nella prima parte del set che li ha visti protagonisti.
La seconda parte della performance, invece, è stata completamente gestita da Phill tramite l’incontro di suoni e filmati realizzati da lui stesso. Con occhio da documentarista ci racconta la vita nei campi, la lavorazione dell’argilla, la raccolta del riso, in Cina, immagini splendide che incontrano i suoi bordoni. “Per molto tempo ho realizzato delle registrazioni, mescolandole affinché le une modificassero le altre – mi racconta Phill – ho registrato parti di strumenti acustici come il violino o il violoncello, oppure suoni ambientali (field recordings) come corsi d’acqua, grilli ma anche macchine da industria. Per quanto riguarda i film, ne ho girati molti dal 1973 al 1991 e dopo una pausa ho ripreso nel 2009 per un totale di 25 riprese. Sono stato in Cina, in Giappone, in Brasile, sto recuperando alcuni filmati rovinati dal tempo”. E Katherine aggiunge: “Sono dodici anni che io e Phill collaboriamo, ma nel frattempo lavoriamo anche separatamente. Non c’è un legame esplicito fra musica e immagini, non sono collegate le due sfere, semplicemente si sovrappongono. Il bello è che ogni live è completamente diverso dal precedente e dal successivo”. Prossimamente andranno a Milano, Praga e a Berlino, poi Phill si dedicherà a nuovi pezzi, vuole realizzarne 40 ed è già a metà dell’opera.

Utku TavilAd aprire ci sono Utku Tavil (batterista e sound designer turco) e Mario Gabola (musicista sperimentale napoletano impegnato in progetti quali A Spirale e Aspec(t)). Il loro è un set “death drum impro noise” basato sull’interazione di elementi contrastanti e in cui regna l’improvvisazione. La batteria e i pad si uniscono all’utilizzo di materiali analogici, come antenne e cassette, per un risultato frenetico e ipnotico. Faccio qualche domanda ai ragazzi:

Come vi siete conosciuti e che cosa vi ha spinto a suonare insieme?
Mario: Utku seguiva a maggio il tour degli Ich Bin N!ntendo di cui fa parte Joakim Heibo il batterista dei norvegesi MoE, con cui collaboriamo da tempo e con cui abbiamo suonato quest’anno a gennaio a Oslo.
Già tutto parte come un barzelletta, immaginate in una pizzeria un turco, un marocchino ed un napoletano parlare un inglese di merda e urlare per avere ognuno la propria ragione a proposito del trattato di Oslo…
(Per chi volesse saperlo convenimmo tutti assieme che per ambasciatori e rappresentanze varie faceva figo farsi vedere interessati alla questione Palestinese ma anche perché a questi ultimi interessavano come tutti gli esseri umani gli incontri con le altre razze, avete capito in quale morbido rettangolo avvengono questi incontri?)
Il suo solo live al Cellar Theory è stato devastante, quando ci siamo trovati a girare per le strade di Napoli e a chiacchierare ci siamo subito acchiappati, le chiacchiere sul breakcore, sull’hard-techno, sul grind, sul noise sull’improvvisazione, cioè rabbia impatto e velocità, ci siamo poi detti di provare a registrare qualcosa insieme, e in seguito sono venuti fuori pure i due concerti ad Avellino e a Napoli.
Verso quale direzione si spinge la vostra ricerca? in che modo interagite durante i set? quali strumenti utilizzate? 
Mario: I nostri due approcci sono molto diversi io ho basato tutta la mia ricerca sulle catene di feedback, sul no-input e sui light device, carico della lunga collaborazione con M.Argenziano e il gruppo A Spirale e anche dopo aver incontrato e collaborato con Arnaud Riviere, Andy Ghul, Agostino Di Scipio, Andy Bolus aka Evil Moisture… “Persone che per approccio e personalità mi hanno cambiato la vita”. Per me tutto si concentra sull’utilizzo di materiali instabilissimi con cui ogni volta bisogna riscrivere il modo di suonare, per diverse condizioni la risposta di questi materiali molto semplici e low-cost cambia e per questo non basta solo premere un bottone e raggiungere un obbiettivo estetico-compositivo da vendere al maggiore offerente.
Utku: La ricerca è omnidirezionale, importante è non perdersi, che insieme a Mario avere dei gusti simili di musica, ci porta in territori comuni dove possiamo giocare con la massa dei suoni (noise/rumore) e dei silenzi che sono i due estremi della musica. Come interagire invece è semplicemente  basato sull’ascolto principalmente.
La prima impro è stata il live ad Avellino, pensandoci è stata molto diversa rispetto alle altre sedute in sala, tutta basata sulla velocità e impatto: in sala in alcuni momenti siamo finiti a fare quasi black-metal con feed-drum e voce…
Potreste spiegarmi il vostro concetto di improvvisazione? 
Mario: Io personalmente sono un po’ stanco se penso alle esperienze di musica improvvisata partendo dal jazz-radicale inglese, alle esperienze più recenti dell’elettroacustica riduzionista centro europea, ecc…
Tutto sicuramente fa parte del mio bagaglio di ascolti (poco la classica contemporanea…) ma trovo queste derive troppo legate ad un modo dialogico di sviluppare l’interazione tra gli strumenti, ancora troppo narrativo, poco attento ai mezzi, al perché di certe scelte politiche/organizzative e molto invece al risultato estetico o almeno alla speculazione sull’estetica. Nelle possibilità che mi si pongono davanti e anche con molta difficoltà (il fallimento/sconfitta è una componente costante di quello che faccio) cerco di bypassare quest’approccio, l’impro è sempre interrotta, mai troppo lunga, questa bolla di alienazione che si verifica tra i nuclei d’improvvisatori deve sparire, ci stanno ricattano attraverso i nostri sogni e bisogna stare con gli occhi aperti e quindi canzone, grind, techno questo è quello che penso quando improvviso.
Utku: Liberarsi da qualsiasi concetto convenzionale musicale, che non vuole dire negazione totale, o ignorare, ma semplicemente avere la possibilità di uscire fuori dalla norma…
Quanto è importante il DIY?
Mario: il DIY è diventato un marchio di riconoscimento, per farla simpatica quasi un brand di t-shirt, in senso stretto spesso per me non significa niente, se poi vogliamo estendere il discorso la strada è impervia. Nel 2014 le esperienze delle controculture come il punk-hard-core o le tribe techno, sono dei vecchi ospedali che cercano di mantenere in vita uno zombi che non vuole saperne, non hanno capito che è quello che si deve fare, dobbiamo essere tutti degli zombi, per dirla con Romero, presto questi zombi impareranno a sparare, nessun trucco pirotecnico potrà distrarli…
In questi anni esperienze organizzative come un tempo Altera! con i diversi spazi incontrati (Perditempo, BlackHouse, Ferro3, 76A, TPA ecc) e ancora quella recente dei laboratori del TPA sono state delle possibilità di intrecciare pratiche e relazioni di natura sempre diverse, niente è guidato da un motivo ideologico o identitario a patto però che ci si riconoscano reciprocamente delle necessità, mancanza di spazi, necessità di capire linguaggi e pratiche emergenti, mancanza di mezzi e necessità di sviluppare insieme una vita dignitosa…
Utku: DIY è fondamentale nella vita, se non vogliamo diventare semplici consumatori, che mangiano qualsiasi ‘merda’ che viene proposta dalla gente più organizzata; che veniamo consumati pure noi in un certo senso… Ci sono dei network in Europa (e non solo), come Multiversal, RPT, Klubb Kanin, SPL, Origami che stanno fuori questo piccolo gioco di consumare/essere consumati che propongono delle situazioni, dove si producono incontri, idee, azioni, ecc…
Quando suonate nuovamente dal vivo? 
La prossima data è stasera 9 luglio al TPAutogestito a Napoli.
Ad ottobre con il festival nomadi di Multiversal, che passerà da Napoli.

 

 
Reportage e Interviste: Claudia D’Aliasi
Foto e Video: Alessandro Farese



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