Joni Mitchell osserva da dietro le quinte del Winterland Arena. Sta assistendo alla fine del mondo. Un po’ l’ha provocata, un po’, come sempre, ne ha paura. Eppure è compiaciuta dal vedere i suoi ragazzi diventare uomini la sera del 25 novembre 1976.
I tempi stanno cambiando, anche il vento non soffia più nella stessa direzione: la Band ha deciso. Questo sarà l’ultimo valzer. E’ un funerale senza malinconia, un po’ barocco e manierista con i suoi incredibili candelabri e drappi rossi, quasi a scacciare il maleficio che sta per abbattersi ineluttabilmente sul rock: il rischio di diventare autocelebrativi, legati a una sterile struttura e, soprattutto, non sorridere più su un palco. Un ultimo concerto a San Francisco, patria di una rivoluzione mai nata, di una gioventù che potrà essere copiata, emulata, ma che non tornerà più. Proprio come aveva scritto David Crosby con If I could only remember my name, qualche anno prima: non è solo un gruppo al crepuscolo che dà il suo addio, ma è un intero universo di linguaggi, di fantasie, desideri. Si è perso il senso, la parola, non ci si ricorda più la direzione e il nome.
E’ Martin Scorsese a catturare per sempre il funerale della giovinezza: carrelli, primi piani, un’incredibile regia che non teme il tempo che sta per finire, che gioca per andare incontro al dolore, che filma senza sosta ogni sguardo, ogni movimento.
Un addio, giusto il tempo di una canzone.
E’ tempo di raccogliere quello che è stato seminato, di rendere grazie. E’ la notte del Thanksgiving. Ogni ospite che sale sul palco per omaggiare The Band, che ha cristallizzato e gettato i canoni del sound americano dagli ultimi anni 60, è cosciente del giro di boa che attende tutti quanti loro. “Such a night” esclama Dr. John; è inutile prendere a calci la verità come Van Morrison e la sua Caravan si trascina verso un finale mozzafiato, tra ululati strazianti e latrati, atavici istinti barbarici. E poi c’è Muddy. Non lo vedete come guarda e annuisce? “Conoscete questo ragazzo” dice Robbie Robertson e dal fondo compare Neil Young. Aspettano divertiti Joni, ma Joni resta in penombra dietro le quinte, canta dove nessuno può vederla. Vuole catturare qualche altra istantanea da conservare e portare alla mente quando sarà vecchia e dipingerà sul patio di fronte casa. L’immagine dei suoi ragazzi, giovani e sorridenti, che suonano con empatia e passione, perchè gli va. E quando giunge il momento di uscire allo scoperto, la Mitchell regala a Robbie un bacio e una carezza, imbraccia la chitarra e comincia Coyote. “Alcune donne sono capaci di trasformare gli uomini in bambini, e i bambini in uomini. Quelle sì che sono donne!” direbbero Lee Marvin e Burt Lancaster. Siamo alle battute finali quando entra in scena Dylan. Omaggia la famiglia che l’ha sempre curato e protetto. Senza sorpresa, arriva Forever young. Un augurio, una preghiera sincera, un monito che, nonostante quello cui stanno andando incontro tutti, rimanga sempre impresso nella mente: “Possa tu restare per sempre giovane”. Sinceri, giusti, con le mani occupate a trasformare i propri sogni in realtà. Coraggiosi e con i cuori pieni di gioia. Se la purezza rock delle band finisce il 25 novembre del 1976, la sua giovinezza non andrà mai perduta.
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