02/03/2014 – “Gloom lies beside me as I turn my face towards the light” non è il titolo che Manuel Volpe ha pensato per il suo disco di debutto (per la Goat Man Records – 2013). Qualcuno che ha assistito all’intera lavorazione l’ha fatto al posto suo, perché Manuel non perde tempo a dare un nome alle cose, preferisce viverle, sentirle, suonarle e lascia agli altri il compito di etichettarle.
Infatti difficile è definire con parole ciò che ha preso forma in questo disco, curato nei minimi particolari, in tre anni di gestazione. Dal jazz, ai ritmi mediterranei, da Paolo Conte ai Giant Sand fino a Nino Rota, sono molte le sonorità ibride evocate dal musicista jesino, di origine siciliana, appena ventiseienne.
Ci vuole poco per immergersi nell’atmosfera intimista del live e il Godot Art Bistrot di Avellino lo accoglie con un silenzio da brividi, che quasi mette in imbarazzo Manuel e la sua piccola orchestra, formata da Michele Bernabei (tromba), Gianandrea Cravero (chitarra/harmonium), Riccardo Trasselli (contrabbasso) e Simone Pozzi (batteria/percussioni). Cupo è il suono della voce calda e profonda che mai copre la musica e che si alterna e si contrappone ad una tromba a tratti malinconica, a tratti sferzante, in un magico connubio. “A Ruin”, “Maria Magdalena” e “Porto Empedocle” ci rapiscono. Molto apprezzate anche le cover, “Old Fashioned Morphine” di Jolie Holland e la blasonata “What is love” di Haddaway, in una rilettura completamente diversa. Poi arrivano due brani nuovi a completare una serata dolcemente nostalgica, che ci accarezza come un vento caldo.
Luca Caserta, padrone di casa nonché direttore artistico del Godot, dedica il concerto a Gabriele Matarazzo, un nostro amico scomparso, pianto dalla città intera e che avrebbe di certo apprezzato la musica di Manuel.
Manuel Volpe – Intervista
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