Kitchen Session #3 con Glauco Salvo

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Per la terza Kitchen Session, grazie all’ospitalità di casa Godot, Radio Cometa Rossa ha invitato Glauco Salvo dei Comaneci a esibirsi col suo progetto solista Of Rivers And Trains. Il risultato è stato un concerto intimo in cui l’avanguardia si è mescolata con la tradizione del folk americano. Of Rivers and trains ha realizzato una cassettina gialla, omomima, in sole due tirature da 120 copie che raccolgono un lavoro iniziato col finire del 2012, brani senza titoli e senza una netta separazione tra l’uno e l’altro. La “ricetta” di Glauco è difficile da portare in giro, poiché non prevede amplificazione e in un bar o in un locale affollato “anche i rumori dei frigoriferi spesso sono più imponenti dei miei!” ci dice. Nonostante questo ha fatto due tour all’estero e ha terminato le cassette.

Io e Luca gli facciamo qualche domanda a fine performance: “Da dove viene questo strano misto di semplicità e complessità?” e lui ci risponde: “Sono cresciuto grazie al mio maestro, studiando musica americana, in particolar modo il blues o in generale musica limpida, suonata solo con l’aiuto delle dita. Poi dopo una fase in cui ho ascoltato prevalentemente hard core sono arrivato a questo punto di unione tra la musica alternativa della mia generazione e la musica imposta dai miei studi. Certo è che i Gastr del Sol mi hanno colpito molto e che la scena elettroacustica italiana continua ad ampliare i miei orizzonti. In particolare Nicola Ratti, Enrico Malatesta e Attila Faravelli sono stati illuminanti. Con Enrico, poi, c’è un rapporto speciale, siamo anche vicini geograficamente”.
Of RiversokPer quanto riguarda lo stile aggiunge: “Quella ripetitività che diventa ipnotica mi viene naturale, raggiungo un equilibrio che ho l’impressione di rompere se aggiungo anche solo una nota. Quando ho scritto questi pezzi aggiungevo una nota a settimana (se la ride). E’ stato un lavoro lungo, non scrivo di getto praticamente mai. Questa ricerca mi interessa prima di tutto in quanto ascoltatore, mi piace lavorare con le dinamiche (dal pianissimo al fortissimo) perché sembra che i muri si spostino. Lo spazio si modifica, risponde ai suoni che produci: si svuota, si stringe, si allarga… e poi si sa, il silenzio è il fulcro di tutte le avanguardie da Cage in poi”.
Ma da un’educazione giovanile “estrema” (quella dell’hard core) come si può arrivare a sonorità così minimali? Similmente hanno fatto in passato David Grubbs, Squirrel Beit o Jim O’Rurke, che hanno sentito l’esigenza di asciugare tutto e arrivare a suoni come quelli della Takoma Records e John Fahey in primis. E in effetti, afferma Glauco: “c’è una matrice comune, fra le due estremità, che è quella di arrivare all’osso. L’hard core è immediato e mi rappresentava molto in quel periodo storico in cui ero più giovane. Quando passai dall’ascolto dei Dead Kennedys ai Fugazi c’è stata una vera esplosione. Loro hanno avuto la capacità di far saltare la tradizione e di portarla a diventare qualcos’altro. Anche John Fahey ha trasformato il blues in qualcosa di trascendentale, in base alla sua esperienza. Quella di tornare a una primigenia della musica più che un’esigenza formale è un istinto, una spinta che mi porta a suonare sempre meno, come se fosse un’operazione di pulizia fatta più sulla carta che sullo strumento”.
ofriversA proposito di strumenti va detto che Glauco utilizza solo banjo, zither e gli e-bow che creano un campo elettro-magnetico che fa vibrare le sue corde. “Sono strumenti che conosco poco ma che preferisco: con la chitarra ho delle remore, scogli pratici dovuti a una tecnica che una volta assimilata non riesci più a cacciare via. Con gli strumenti che conosco meno, invece, mi sento più libero”.
Per quanto riguarda i progetti paralleli? “Con i Comaneci continuo a suonare, aspettiamo il momento giusto per fare il disco nuovo. Collaboro da un annetto con Giovanni Succi dei Bachi Da Pietra, ci incontrammo per caso a un festival e poi decidemmo di riprendere delle canzoni del suo vecchio gruppo Madrigali Magri e poi fare un disco con i pezzi di Paolo Conte (Lampi per Macachi, ndr). Siamo molto contenti di questo progetto, avevamo le idee chiare: dimenticare gli immaginari di Paolo Conte che sono molto precisi, buttare via le marcette e rivisitare tutto in chiave diversa, buttandoci tanta merda sopra! Poi sto cominciando a lavorare a un progetto con Francesco Balsamo, poeta siciliano molto bravo che ho incontrato in Sardegna durante un festival di poesia in cui io e Francesca Amati facciamo ogni anno un laboratorio di musica per ragazzi. A giugno iniziamo a esibirci insieme a Cesenatico al museo dedicato a Marino Moretti”.
Noi per adesso ci guardiamo il video e lo aspettiamo con Giovanni Succi per un concerto al Godot che ci è stato promesso!

Claudia D’Aliasi



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