Ancora una volta al piccolo e accogliente Teatro Del Giullare di Salerno abbiamo assistito al concerto di BeMyDelay per la rassegna OHMe di Enzo Schiavo e Franco Cappuccio. In apertura Maurizio Abate, chitarrista sperimentale, ha suonato in solo per poi unirsi alla band di Marcella Riccardi, ex membro dei Massimo Volume che, dopo aver dedicato anni al suo progetto solista, ha presentato a Salerno la sua nuova formazione.
Ecco la mia intervista:
Maurizio Abate, lo scorso 11 giugno hai suonato in doppia veste, con Bemydelay e da solo in apertura, portando sul palco Loneliness, Desire, Revenge. E’ un disco più vicino al mondo di John Fahey e al blues rispetto al mistico A Way To Nowhere, uscito due anni fa. Eppure c’è qualche elemento di continuità (racchiuso forse in quel “loneliness”?). Cosa ti spinge ad adottare registri sempre diversi? Perché hai scelto proprio quelle tre parole come titolo, qual è il loro significato per te?
Quello che mi spinge è trovare un linguaggio adatto ad esprimere ciò che sento necessario in un determinato periodo della mia vita. Loneliness, Desire, Revenge è nato anche dall’esigenza di tornare al mio strumento, la chitarra, con uno stile minimale e scarno preso a prestito principalmente dall’american primitive, dal folk e dal blues. Negli anni passati ho realizzato dischi con un approccio quasi totalmente empirico ma questa volta ho affrontato la scrittura in modo nuovo, prendendomi del tempo per comporre questi brani, suonarli dal vivo e solo alla fine registrarli. A differenza dei precedenti lavori, grazie ai quali mi sono affacciato sul confine di quelli che considero i limiti del nostro essere umani, mi interessava indagare degli aspetti più intimi e personali. La copertina, il titolo del disco e dei brani sono arrivati a musica già registrata e mi piace pensarli come un vestito che ho aggiunto a posteriori alla materia musicale; per il titolo, appunto, ho cercato di trovare delle parole che tracciassero una narrazione di una storia, la mia, ma che lasciassero anche un’apertura ad altre possibili interpretazioni, direi che anche in musica tendo a voler lasciare una certa libertà di immaginazione all’ascoltatore. La solitudine fa riferimento sia alle modalità del mio processo creativo (anche in questo caso ho cercato un certo isolamento introspettivo per la registrazione dell’album), ma definisce anche una condizione esistenziale nella quale mi riconosco. Il desiderio, che di fatto segna una mancanza, è una potente forza vitale propulsiva, mentre la parola inglese revenge, può significare vendetta ma anche una rivincita, un’opportunità di emancipazione personale.
Al Teatro del Giullare ti abbiamo visto completamente a tuo agio sia da solo che nella band di Marcella Riccardi. Suonate insieme da un po’ di tempo. Ci racconti della vostra collaborazione?
Con Marcella ci siamo conosciuti nel 2012 grazie ad amici musicisti in comune (Rella the Woodcutter in particolare), da allora è iniziato un fitto scambio di ascolti, storie ed esperienze; siamo stati spesso in giro insieme con i nostri rispettivi progetti, fino a che Marcella mi ha affidato la registrazione e la produzione di Hazy Lights, il suo secondo album. Durante la realizzazione del disco mi sono occupato di alcune sovraincisioni, certe atmosfere hanno talmente risuonato in me che è stato piuttosto naturale un coinvolgimento nel progetto Bemydelay; la collaborazione ha preso corpo nei live successivi all’uscita dell’album, nei quali l’ho accompagnata come secondo chitarrista. Poi per un periodo le nostre strade si sono divise per incrociarsi nuovamente qualche mese fa, nel frattempo Marcella aveva scritto nuovi brani e allargato la formazione grazie all’arrivo di Domenico Vaccaro e Vittoria Burattini, anche questa volta mi ha chiesto di seguirla nella registrazione del nuovo album e di nuovo ho partecipato non solo come fonico ma anche come musicista con sovraincisioni arrangiamenti etc. Parallelamente era maturata in me la volontà di confrontarmi con una dimensione di gruppo per cui l’incontro con la nuova forma di Bemydelay mi ha reso molto contento, al momento ho partecipato ad una serie di concerti aggiungendomi al trio, dopo l’uscita del disco staremo a vedere.
Prossimamente credi di incidere un nuovo disco solista oppure ti vedremo più spesso in compagnia di altri musicisti? Oppure non escluderai nessuna delle due opzioni?
Negli ultimi mesi sto buttando giù idee per un futuro disco solista ma rimango sempre aperto e interessato a collaborare con altri musicisti. Al momento è attivo il progetto Arbre du Ténéré in duo con Canedicoda, con Alberto Boccardi abbiamo appena realizzato un album,”Superficie” e un altro disco con Matteo Uggeri è in uscita dopo l’estate, non si sta mai fermi insomma!
Marcella Riccardi, aspettavo di rivederti dal Musica Nelle Valli 2014. Suonasti proprio con Maurizio e mi fa piacere che siate ancora l’uno al fianco dell’altra. Da allora però qualcosa è cambiato, hai incluso nel tuo progetto anche altri musicisti, come Vittoria Burattini con cui suonavi nei Massimo Volume, e Dominique Vaccaro. Mi racconti come si è formata la band?
Non ti so veramente dire com’è andata… la band si è formata quasi da sola. Difficilmente riesco a creare qualcosa se lo decido prima: nell’estate 2015 ho composto una manciata di pezzi fatti di poche note e accordi semplici, forse in risposta a un periodo oscuro e complicato. Dominique mi ha spronato a portare avanti i pezzi, con il suo appoggio ho iniziato a crederci e ad avere il coraggio di sperimentare un pò di più con chitarra e voce. Abbiamo suonato i pezzi in duo per un pò di mesi fino a che, nell’ottobre del 2015, in occasione della manifestazione contro la chiusura di Atlantide (centro sociale occupato, ndr) a Bologna, mi sono rivista con Vittoria Burattini. Ricordo che mi disse: “Ciao Marci, quando suoniamo insieme?”. Da lì abbiamo cominciato a provare, abbiamo fatto un piccolo tour con i Morose a gennaio 2016 e a marzo abbiamo registrato il disco. E’ proprio per la registrazione che ho pensato di coinvolgere Maurizio Abate, con cui condivido una sensibilità comune, ci capiamo al volo sulla musica.
Ai tempi di To the other side ricordo un live ipnotico, come un mantra. Poi è arrivato Hazy Lights, un disco (e un live) meravigliosamente intimista. Con la band ho conosciuto un’altra Marcella: il concerto di Salerno è stato strepitoso e sono convinta che l’Lp in lavorazione sarà altrettanto sorprendente. Cosa puoi anticiparmi? Quando uscirà?
Il disco è stato registrato nella mia casa/studio, con un registratore a bobine tascam 688. L’idea era di documentare il suono così com’era, senza editing o diavolerie digitali. Tra il serio e il faceto ci siamo detti che volevamo un suono anni ’70, cioè un disco suonato dall’inizio alla fine, con tanti assoli! Attualmente l’Lp è ancora in lavorazione, stiamo ultimando i missaggi. Non so ancora quando uscirà, mi auguro entro l’anno!
Bemydelay in quartetto davvero non assomiglia a nessun’altra realtà, italiana o internazionale che sia, quindi non parleremo di “generi” o etichette, se sei d’accordo. Di certo c’è una perfetta armonia tra la parte intimista e cantautorale con la dimensione collettiva della band. Sono curiosa di sapere come lavori ai testi, alcuni mi sembrano dedicati all’amore (ad esempio Love Hurts). Quali tematiche ti ispirano maggiormente e perché?
Grazie Claudia, si credo che tu abbia ragione, il suono è molto personale, è la sua forza e la sua debolezza. Per quanto riguarda le liriche, la scrittura dei testi è un processo intuitivo, per niente pianificato. Ho quaderni pieni di appunti, osservazioni… quando un pezzo spinge per uscire alla luce, apro i quaderni e vedo che mi dicono. Di solito prendo frasi sparse e le riordino, il tutto cercando di ragionare il meno possibile. E’ una specie di ipnosi, se mi risveglio troppo presto crolla tutto. Non so bene perché lo faccio, forse per cercare di tradurre i miei stati d’animo, i miei conflitti. Vittoria, Domenico e Maurizio sono musicisti incredibili, non c’è stato bisogno di spiegare niente, sono entrati nel suono perfettamente e hanno aggiunto la loro saggezza. Scherzando ci diciamo sempre che siamo un gruppo adulto, prima di tutto c’è la musica/il suono poi tutto il resto.
Tra i brani eseguiti al concerto c’è il Mottetto (della sera d’aprile) di Alfonso Gatto, brano che chiude Hazy Lights. Come mai hai scelto di musicare una poesia? Sarà un episodio unico? Sarebbe un peccato, anche perché la tua voce con la lingua italiana si sposa davvero bene!
Il pezzo lo scrissi una notte dell’estate 2013, tornavo da una serata con gli amici con una grande strana malinconia. Seduta sul letto ho iniziato a suonare la chitarra. Sul comodino c’era una raccolta di poesie d’amore del ‘900 della Newton&Compton, ho aperto a caso il libro e la poesia era il mottetto di Alfonso Gatto. La musica era già perfetta nel testo, è stato semplice! E quella frase finale: “Tu sei come i grandi cieli che fuggono la terra” era proprio quello che avrei voluto dire a qualcuno quella notte. Italiano, Inglese… forse scelgo l’Inglese perché una lingua straniera ti da la possibilità di uscire da te stessa, di dimenticare chi si è e da dove si viene. Sicuramente ho un candore ed una ingenuità con l’Inglese che non riuscirei ad ottenere con la mia lingua madre. Grazie per l’incoraggiamento Claudia, non escludo che userò altre lingue nei miei brani, ogni lingua ha i suoi suoni e il suo fascino.
Claudia D’Aliasi
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