Il “gambling”, ovvero il gioco d’azzardo patologico, è stato il tema centrale del quarto e ultimo incontro del ciclo di film e dibattiti “Cinemente Indipendente”, organizzato da Vittorio Grappone, supportato dalla Camera di Commercio di Avellino e che ha visto la partecipazione del Godot Art Bistrot e di Radio Cometa Rossa.
Ospite e relatore lo psicoanalista, psicologo e criminologo Mauro Croce che in modo molto chiaro e approfondito ci ha informati sui meccanismi alla base di questa addiction. “Prima c’erano i casinò ed erano le persone, soprattutto di un certo rango, a cercare il gioco ma ora il fenomeno in Italia è diffusissimo perché il rapporto si è invertito: è il gioco a cercarti. Fino agli anni ‘80 il governo ha avuto una visione negativa del gioco e lo ha limitato. Poi in esso ha visto il business, “è la tassa per gli stupidi” diceva Cavour, e infatti è servito a recuperare denari per l’erario. All’inizio degli anni ‘90 arrivò quello che io chiamo lo tsunami del gioco: videopoker, gratta e vinci, il lotto, superenalotto, bingo, slot machine, vlt… tutti sistemi che puntano sulla loro appetibilità e sulle nostre debolezze”.
Sono infatti i più poveri e deboli a cadere in questa trappola, e non è un caso se in Quintet, film fantascientifico di Robert Altman del 1979 (proiettato per presentare la tematica), i giocatori siano senza speranza, immersi in un contesto gelido e apocalittico. E il gioco detta le leggi di vita e di morte di questa piccola comunità, ormai rassegnata all’estinzione.
Il gioco è sempre ingannevole, creato su misura per indurci a diventare dipendenti da esso, in modo particolare nei periodi di crisi economica: “più il futuro è incerto meno investo su di me. Sono più orientato a sperare nella vincita fortunata, convinto che tale occasione, almeno in parte, possa dipendere dalla mia volontà o dal mio atteggiamento” dice Croce.
“Io parlerei di un nuovo modo di produzione del consumo di sé – aggiunge Vittorio Grappone – in cui il prototipo è l’uomo indebitato, asservito, in una società che trasforma il lavoro e l’economia in un’azzardata macchina del debito in cui la testa è lo stato e il cuore sono le società offshore”.
Gli italiani in gioco d’azzardo spendono circa 88 miliardi all’anno, che corrispondono al 21, 65% della spesa mondiale, ma per quanto riguarda le vincite siamo al quarto posto dopo Stati Uniti, Cina e Giappone. E non risparmiamo neppure sulle tasse: aumentano le spese di gioco ma gli introiti per il bene pubblico restano ugualmente bassi, poiché l’industria è in grado di fare le giuste pressioni affinché i giochi siano detassati. Al privato vanno i benefici e il pubblico paga il conto, perché quando il giocatore diventa patologico si dà inizio a una catena di costi e di sofferenze che vanno a carico della famiglia. I nuovi giocatori sono giovanissimi, e si gioca soprattutto online dove non esistono limiti di tempo e dove l’iscrizione è spesso gratuita, incentivata da bonus che ti illudono che vincere sia facile.
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EROINA
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