È un pomeriggio all’insegna del dubbio quello che ci regala il professore Nicola Auciello, l’11 dicembre 2014, all’Art Bistrot Godot di Avellino. O, per meglio dire, dei dubbi, al plurale. Il dubbio non soltanto come metodo essenziale per la ricerca, dunque, ma addirittura come cifra esistenziale di un’intera epoca, quella moderna, contrassegnata dall’avere appunto il dubbio come ineliminabile compagno di viaggio.
È tutta giocata sull’antitesi tra l’antico e il moderno, la lezione del professore Auciello, e su un confronto, con riferimento all’antropologia culturale, con la dimensione del primitivo.
Sebbene in ogni civiltà si sia dubitato, infatti, non sotto tutti i cieli il dubbio ha rappresentato la stessa cosa. Innanzitutto, infatti, la diversità dei contesti politici ci fa osservare quanto non sempre sia stato lecito il dubitare stesso, e il pensiero va qui subito ai totalitarismi e alle molte esperienze dittatoriali che hanno contrassegnato il ventesimo secolo e che caratterizzano tuttora il ventunesimo. Il dubbio, dunque, come segno tangibile del nostro più civile modo di esistere.
Come compare il dubbio all`interno della nostra esistenza? Si è dubitato sempre allo stesso modo? Con la stessa frequenza? I presupposti di questa discussione stessa sono già tutti all’interno di istituzioni politiche democratiche, e di un modo di esistere nel quale il dubbio è qualcosa di fin troppo familiare, come una figura costante del nostro stile di vita.
Se, per Aristotele, il dubbio sorge quando ci troviamo in una situazione in cui abbiamo due ragionamenti fra di loro opposti e che si equivalgono, abbiamo allora che il dubbio appare come parte integrante dell’azione, e precisamente come quella sospensione dell’azione stessa che si presenta in circostanze relativamente rare. In una società basata su un sapere tradizionale, infatti, come quella antica, l’azione normalmente risulta guidata dal sapere stesso, che la veicola verso obiettivi e mezzi.
Ma è proprio qui che Auciello vede in atto la specifica trasformazione che il Moderno ha rappresentato e rappresenta. Nel mondo di Aristotele, infatti, il dubbio rappresenta un accidente in un contesto sociale dominato piuttosto dalle certezze, una pausa relativamente oziosa in una catena di pratiche dominate da saperi determinati e circoscritti. Il culto degli avi e l’idea di un’azione guidata dalle certezze della tradizione formano un reticolo coerente in certe civiltà. Solo nel mondo moderno, al contrario, il dubitare diventa la sostanza stessa di una sorta di riflessione collettiva.
Si avrà, allora, con l’età dei Lumi una vera e propria esaltazione del pensiero critico, e in generale la consapevolezza che una società pienamente avanzata non possa che riconoscersi nel distacco continuo da quella tradizione che per altre civiltà ha rappresentato piuttosto un firmamento immobile. L’azione, allora, diventa il luogo dove ogni sapere specifico si fonda e continuamente si verifica, e non meramente il luogo di applicazione di quanto appreso in un altrove mitico o teologicamente fondato, e sarà proprio in questo suo primato sul conoscere che l’atto si estrinsecherà come una sorta di movimento continuo in un mare di incertezza.
Per dirla con Thomas Hobbes, dunque, non sarà più la verità a costituire la legge, ma piuttosto l’autorità, e dunque sarà la legge nel suo concreto farsi, a riscoprirsi vera legge.
La categoria di decisione, dunque, e con essa quel sapersi orientare tra un mare di possibilità, appare come quella distintiva di una dimensione moderna nella quale nulla più appare scontato, e nella quale un dubbio ormai divenuto bifronte costituisce di per sé un merito: dubbio come metodo e dubbio come segno pulviscolare di un’atmosfera storica.
Gian Paolo Faella
Caffè Filosofico: Il dubbio
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