All’interno del Teatro Gesualdo di Avellino, Flussi Media Arts, in collaborazione con il Festival Laceno d’oro, ci ha dato l’occasione unica di assistere a due eventi speciali, il 29 e il 30 agosto: la sonorizzazione dal vivo del film “Haxan” a cura di Demdike Stare e la performance audiovisiva di Fennesz e Lillevan.
A mezza strada tra finzione e documentario, a mezza strada tra l’indole viziosa e l’informazione critica, a mezza strada tra il disgusto, il voyeurismo, l’analisi storica: Benjamin Christensen fece un gran lavoro nei gloriosi anni venti, se è vero che “Haxan, la stregoneria attraverso i secoli”, oltre ad essere blasfemo, ironico, violento, è anche un bel film, esteticamente parlando. Antesignana di intensi e feroci primi piani, con le creature sataniche, alcune in stop-motion, e la sarabanda di orge, sacrifici, malefici e riti iniziatici, la pellicola danese, portata al Teatro Gesualdo, aveva già creato una certa atmosfera di attesa, genericamente aumentata dal fatto che a) il tema osceno è in sé attraente (e questo i registi lo sanno) e b) si trattasse di una visione già censuratissima.
Demdike Stare è un progetto che nasce nei bassifondi di Manchester, dove il cielo è bianco e lo spirito dark decisamente di casa. In due, Miles Whittaker, produttore di musica elettronica, e Sean Canty, gran collezionista di vinili, lavorano all’album d’esordio, Symbiosis, mischiando la tradizione post punk alle sonorità elettroniche dub. Il disco esce nel 2009 per la Modern Love label e contiene, perfettamente in linea con l’etica del duo, un pezzo che si chiama Haxan, dal film di Chrstensen del ’22. Di qui a decidere di sonorizzare tutto il film il passo deve essere stato breve per loro. Come facile dev’essere stato il percorso che ha portato alla scelta dei ragazzi dell’associazione Magnitudo di invitarli in Irpinia lo scorso 29 agosto, presentando per Flussi la personale interpretazione di una pellicola così controversa, che seppure strizza l’occhio a una certa macabra indole trasgressiva dello spettatore, tuttavia non cessa per questo di essere un bel film, oltre a rivelarsi un documento storico interessante, per il punto di osservazione della realtà che emerge in conclusione. La pellicola, precisamente, introduce un raffronto tra il comportamento delle streghe del XIV secolo e l’isteria femminile, perfettamente in linea con le idee del razionalismo psicanalitico che spopolavano in quel periodo storico. Anzi, il regista decise di giustificare tutta l’operazione semi- documentaristica aggrappandola alla dimostrazione della eguaglianza stregoneria/ isteria, pigiando senza pietà sull’acceleratore dell’orrido, per rappresentare la superstizione medievale in tutta la sua ridicolaggine. Quello che ne viene fuori è dettagliato e destabilizzante, con una scelta sonora che, tenendo perfettamente con le immagini, catapulta lo spettatore in uno stato di tensione catartica.. Il duo Demdike Stare, infatti, non si prende la scena attraverso stacchi netti, ma preferisce smaterializzarsi in dissonanze dub e rumorosi riverberi, contribuendo a creare un’atmosfera carica di sospensione. Un gioco a due, tra immagini e musica, molto ben riuscito.
Il 30 agosto è il giorno del tanto atteso Christian Fennesz, un musicista sofisticato che mescola sonorità melodiche e ambient con rumorismi e sperimentazione. Il suono della sua chitarra processata al computer, con i suoi riverberi, dona delle aperture – veri e propri respiri profondi – ad un viaggio sensoriale da percorrere sospesi a mezz’aria. La sua ricerca musicale, cominciata negli anni ’90 nell’ambito del glitch e del noise, si è evoluta negli anni ’00 verso sonorità più morbide e avvolgenti, nel territorio della musica elettroacustica. Tra le principali collaborazioni nell’arco della sua carriera ci sono quelle con Ryuichi Sakamoto, David Sylvian, Peter Rehberg, Jim O’Rourke, e, in questa sede, con il video e media artist Lillevan. L’artista tedesco è noto per il suo lavoro con il gruppo audiovisivo Rechenzentrum (1997-2008), di cui è stato membro fondatore, e per essersi dedicato sia a installazioni audiovisive che ad una grande varietà di generi musicali. Il rapporto fra visivo e auditivo, la ricerca di una certa “musicalità” insita in ogni immagine, il visuale che accompagna la musica senza essere subordinato ad essa né ad una trama narrativa sono concetti alla base del suo lavoro.
A sei anni da Black Sea, quest’anno è uscito Bécs, per la Editions Mego, un disco onirico con spunti da colonna sonora. Per questa occasione, insieme con Lillevan, il musicista austriaco ci regala una performance audiovisiva non mozzafiato, né innovativa, ma di certo emotivamente coinvolgente. L’esibizione è sognante e minimale, astratta ma non intangibile, il glitch resta sullo sfondo, ridotto ai minimi termini, come se fosse una spiaggia fatta di piccoli sassolini da calpestare a piedi nudi. Vi ricorrono elementi e passaggi in modo ciclico, come a volerci cullare nel grembo materno, in un ritorno alle origini. Sarebbe sbagliato attribuire un senso univoco a ciò che abbiamo visto ma se mi lascio trasportare dalle sensazioni inizio a vederci dentro la nascita dell’universo, la creazione delle stelle, il raffreddamento della crosta terrestre, ancora inabitabile.
articolo: Margherita D’Andrea e Claudia D’Aliasi
foto e video: Alessandro Farese
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