“il giorno che imparai a camminare mi insegnarono a parlare” (M. Søndergaard)
Il viaggio dell’eroe prevede il cammino da un mondo ordinario che viene stravolto e in cui il punto di svolta sia l’inizio di un’avventura che porti lontano dal luogo di origine. Il protagonista accetta la sfida, parte, supera delle prove e infine torna a casa con un elisir, un messaggio da condividere.
Morten Søndergaard è un eroe umile e sorridente, arrivò in Italia per motivi di studio (come un tempo proponeva il Grand Tour). Doveva restarci per sei mesi, restò per otto anni.
Morten unisce in modo affascinante il presente e il passato: da un lato c’è il poeta viaggiatore che una volta tornato in Danimarca, come in una recollection in tranquillity, scrive del paesaggio italiano, e dall’altro c’è l’artista moderno che usa il blog e fa musica elettronica (“Hjertets Abe Sparker Sig Fri” di Schweppenhäuser/Thomsen & Morten Søndergaard, 2009 Geiger Records).
Il poeta ci parla del suo “esperimento italiano” e di altro in un incontro emozionante e molto partecipato alla libreria Petrozziello (Avellino) in cui prendono la parola presentando l’autore in modo esaustivo Emilia Cirillo (architetto, scrittrice) e Claudia Iandolo (professoressa, giornalista). La prima trova anche delle similitudini con la sensibilità di Rilke, la seconda ci aiuta a capire quanto la poesia possa essere concreta, partendo dall’analisi della sua etimologia. Presenza importante è anche quella di Bruno Berni (vincitore del Premio Gregor von Rezzori 2012 e del Premio Nazionale per la Traduzione 2013) che ha tradotto le poesie di Morten raccolte nel libro “A Vinci, dopo. Gli alberi hanno ragione. Blog” (Del Vecchio Editore, 2013). Il punto massimo di attenzione si è raggiunto durante la lettura in lingua originale e successivamente in italiano di alcune poesie, per poi terminare con un esperimento: una poesia letta contemporaneamente nelle due lingue, dall’autore e dal traduttore, mescolando i ritmi, sovrapponendo i suoni, intrecciando le diverse musicalità.
In Italia Morten si faceva chiamare Martin Helle: per gli italiani il suo nome originale suonava troppo minaccioso. L’impatto linguistico è stato infatti il primo scoglio al suo arrivo in Italia, per questo Morten iniziò a dialogare con il paesaggio, cosa che ha cambiato il suo modo di fare poesia, come se fosse “una strada che attraversa il paesaggio” e che quindi lo porta ad immergersi in esso, usando i sensi e filtrando le piccole cose attraverso uno sguardo che si tramuta in parola, in quel ponte che unisce (o in quella distanza che divide) scrittore e lettore. E’ qui che subentra il lavoro del traduttore a mediare e a rendere possibile la comprensione, “indagando sui luoghi in cui le lingue non si toccano” e senza tradire l’originale.
Un ostacolo iniziale diventa una porta aperta su una nuova visione: il paesaggio si umanizza e noi ci naturalizziamo, diventando “alberi con le gambe”. In un capovolgimento dei ruoli è il paesaggio che si trasforma e diventa parlante, pensante, ci osserva, “si mette in posa per farsi dipingere da Leonardo”. La natura ha il suo linguaggio e i suoi elementi comunicano fra di loro in armonia: solo noi uomini parliamo senza comprenderci l’un l’altro. La parola è “l’insidia della soglia” direbbe Yves Bonnefoy, ma è anche movimento, creazione: con “complessità e leggerezza” Morten ci restituisce una realtà caotica e mutevole. Nostalgico di una fase pre-babelica sogna una lingua che nessuno parla, capace di esprimere l’essenza. Ma anche l’essenza non basterebbe, ometterebbe qualcosa, taglierebbe via un superfluo comunque necessario a descrivere la totalità. In questa ricerca la poesia è l’unico modo possibile che un poeta ha per esprimersi al meglio, per cercare di dire “né più né meno” ciò che vorrebbe. E la magia della poesia sta nel fatto che non tutto si può esprimere e che anche il silenzio ha la sua importanza, perché qualcosa – un segreto, un non detto – va conservato per sé.
Con metodo e puntualità Morten si dedica alla scrittura almeno una mezz’ora al giorno, tutti i giorni, come lascia intendere anche la seconda parte del libro (Blog notturno, Blog diurno) in cui sembrano esserci appunti scritti per se stesso, in quello che Montaigne chiamerebbe “il suo retrobottega”. Quei promemoria potevano restare tali, poi lui decide di pubblicarli, rivelandoci che “la poesia non è per chiunque ma è per tutti”.
Claudia D’Aliasi
Morten Søndergaard alla libreria Petrozziello (Avellino)
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